Poi, insomma, le possibilità creative derivanti dall'acquisizione digitale di un'immagine, se fatta con criterio, sono senza dubbio in molti campi strabilianti, su questo non ci piove.
Porto come esempio un po' estremo l'astrofotografia, soprattutto quella planetaria: il workflow digitale classico è l'acquisizione di decine di migliaia di "frames", lo scarto automatico di quelli non abbastanza nitidi e l'operazione di media automatica di quelli buoni, tutto in più bande spettrali, volendo, più la post-elaborazione con filtri particolari, con risultati talvolta impressionanti anche da parte di amatori con mezzi non costosissimi.
Anche queste affascinanti immagini però sono destinate a relativamente corta vita, o quantomeno allo scopo momentaneo, che può essere scientifico o di semplice passatempo.
A piedi con la pellicola
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Re: A piedi con la pellicola
"workflow"... Termine che fa rabbrividire quasi come la sua traduzione "flusso di lavoro".
L'informatichese usa un vocabolario solitamente strano, a tratti ripugnante.
L'informatichese usa un vocabolario solitamente strano, a tratti ripugnante.
"Evitate il tono troppo aspro e duro, usato dalla maggior parte di coloro che debbono nascondere la loro scarsa capacità".
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Re: A piedi con la pellicola
Il temine flusso è quello del "diagramma di flusso", una nozione non troppo spinta, applicabile nelle varie accezioni anche ad una tattica o un fumetto (storyboard).Elmar Lang ha scritto:"workflow"... Termine che fa rabbrividire quasi come la sua traduzione "flusso di lavoro".
L'informatichese usa un vocabolario solitamente strano, a tratti ripugnante.
Se nelle "scatolette" tra esse collegate da connettori logici ci mettiamo le azioni sequenziali (o iterative) necessarie a svolgere un compito, un lavoro, ecco che arriviamo diretti al "workflow".
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Re: A piedi con la pellicola
Ecco quindi che l'inutile anglicismo "workflow", con la sua quasi oscena e comunque servile traduzione "flusso di lavoro", trova il suo vero significato nel termine "iter". Termine che è addirittura più breve, oltre ad essere assolutamente esatto.
Per di più in uso tra i romani già in epoca in cui i Britanni, al massimo, affumicavano carne di capra e si vestivano di pelli.
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Re: A piedi con la pellicola
Ti "sconfondi" con il flow chart.....Se nelle "scatolette" tra esse collegate da connettori logici ci mettiamo le azioni sequenziali (o iterative) necessarie a svolgere un compito, un lavoro, ecco che arriviamo diretti al "workflow".
Fabio
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Re: A piedi con la pellicola
...
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Re: A piedi con la pellicola
Che è il summenzionato diagramma di flusso ed è utile a rappresentare un workflow, no?effegi61 ha scritto:Ti "sconfondi" con il flow chart.....Se nelle "scatolette" tra esse collegate da connettori logici ci mettiamo le azioni sequenziali (o iterative) necessarie a svolgere un compito, un lavoro, ecco che arriviamo diretti al "workflow".
Riguardo al termine, direi che il classico "iter" abbia un'accezione continua, come quella di un percorso o di un corso di studi che, sebbene diviso in tappe, fluisce senza soluzione di continuità.
Nel caso di una sequenza atomica di azioni o passi di un algoritmo, che possono avvenire o meno in base ad alcune condizioni, il termine da usare dovrebbe avere un'accezione "discreta".
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Re: A piedi con la pellicola
Anche in riferimento a quel che si leggeva nei manuali di fotografia pre-numerica, il percorso dal momento dello scatto alla stampa finale era il compimento di un "iter", necessariamente composto da più fasi e/o momenti ben precisi.
A ben pensarci, il "workflow" (o "flusso di lavoro"), tra lo scatto e la stampa (da processo all'argento o elettronico), proprio ci sta come i classici "cavoli a merenda".
Un po' come il nostrano "digitale", che con le dita non c'entra nulla, ma deriva da un'errata traduzione dell'inglese "digit" che significa "numero" in senso generale; si vede che qualcuno era assente, quando a scuola, nelle ore di inglese, si insegnavano i cosiddetti "false friends".
I francesi infatti, un po' più attenti di noi, in gran parte evitano quest'errore ed usano il termine più corretto, "numerique".
A ben pensarci, il "workflow" (o "flusso di lavoro"), tra lo scatto e la stampa (da processo all'argento o elettronico), proprio ci sta come i classici "cavoli a merenda".
Un po' come il nostrano "digitale", che con le dita non c'entra nulla, ma deriva da un'errata traduzione dell'inglese "digit" che significa "numero" in senso generale; si vede che qualcuno era assente, quando a scuola, nelle ore di inglese, si insegnavano i cosiddetti "false friends".
I francesi infatti, un po' più attenti di noi, in gran parte evitano quest'errore ed usano il termine più corretto, "numerique".
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Re: A piedi con la pellicola
Purtroppo, caro Elmar, viviamo in un mondo dove l'anglosassonizzazione (pure storpiata) ha preso il sopravvento:
- l'otturatore è diventato shutter,
- il diaframma aperture,
- il fotogramma frame,
- le fotocamere a telemetro range finder,
- quelle a soffietto folding camera,
- e così via.
Però a pensarci bene un inglesismo c'era già ai miei tempi, negli anni 60':
lo STOP DOWN!
In quella volta si chiamava già così il meccanismo di attuazione della chiusura automatica del diaframma (e non ho mai sentito utilizzare la relativa traduzione in italiano) ...
Comunque con work flow oramai si indica qualunque procedura ripetuta in tutti i campi, da quello scientifico a quello didattico, ecc.
E' una metodologia ripetuta, un iter, come hai correttamente detto Tu.
Può non piacere (e neppure io ci vado matto con questa deriva attrattiva da parte delle lingua della perfida Albione), ma è così ...
Nel bene e nel male.
E, come ho scritto in altre occasioni, non si può arrestare il progresso.
Anche se questo, nel caso di specie, ha molti limiti e difetti.
Ma, nel bene e nel male, viviamo in un mondo di continua integrazione e scambio che chiamano globalizzazione e questo degli inglesismi è - IMHO (per rimanere sul tema) - il minore dei mali ...
Del resto oramai senza l'inglese non si va da nessuna parte, specie nel mondo della fotografia analogica!
Io sono un collezionista e per cercare camere ed ottiche di 50-100 anni fa o ci si rifà a testi ed articoli scritti in inglese, oppure ci si rivolge al mercato delle DUCATI o delle RECTAFLEX.
Per cui ben venga la lingua di Albione, quando serve.
- l'otturatore è diventato shutter,
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- il fotogramma frame,
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- quelle a soffietto folding camera,
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Però a pensarci bene un inglesismo c'era già ai miei tempi, negli anni 60':
lo STOP DOWN!
In quella volta si chiamava già così il meccanismo di attuazione della chiusura automatica del diaframma (e non ho mai sentito utilizzare la relativa traduzione in italiano) ...
Comunque con work flow oramai si indica qualunque procedura ripetuta in tutti i campi, da quello scientifico a quello didattico, ecc.
E' una metodologia ripetuta, un iter, come hai correttamente detto Tu.
Può non piacere (e neppure io ci vado matto con questa deriva attrattiva da parte delle lingua della perfida Albione), ma è così ...
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E, come ho scritto in altre occasioni, non si può arrestare il progresso.
Anche se questo, nel caso di specie, ha molti limiti e difetti.
Ma, nel bene e nel male, viviamo in un mondo di continua integrazione e scambio che chiamano globalizzazione e questo degli inglesismi è - IMHO (per rimanere sul tema) - il minore dei mali ...
Del resto oramai senza l'inglese non si va da nessuna parte, specie nel mondo della fotografia analogica!
Io sono un collezionista e per cercare camere ed ottiche di 50-100 anni fa o ci si rifà a testi ed articoli scritti in inglese, oppure ci si rivolge al mercato delle DUCATI o delle RECTAFLEX.
Per cui ben venga la lingua di Albione, quando serve.
Sa chi sa che nulla sa, ne sa più di chi ne sa, perchè sa che nulla sa.
Socrate 470 b.c – 399 b.c.
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- ammazzafotoni
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Re: A piedi con la pellicola
Non ho particolare simpatia per l'inglese e ho una particolare antipatia per gli anglofili erranti, soprattutto gli aziendalisti.
Ma, come l'italiano è la lingua della musica, il tedesco della letteratura, il francese della cucina, l'arabo della filosofia naturale (per scienza), l'inglese è la lingua dell'informatica.
Essere "la lingua del" ovviamente non esclude che sia l'unica ad esserne precipua, sia la sola da utilizzare o che ogni termine possa essere tradotto o sostituito da una parola della propria lingua, soprattutto se esso non è specialistico o non sottende un'accezione particolare (è anzi una buona prassi e allenamento), ma sottointende che lo standard di comunicazione si stabilisca in tale lingua che, per caso temporale o per merito di propri esponenti, la faccia da padrone.
Ognuno poi può avere una puntuale antipatia per un dato idioma e ricercare puntualmente sinonimi o perifrasi in sostituzione di un termine linguisticamente consolidato, ma ciò non dovrebbe tradursi in una "dannazione" altrui.
Ma, come l'italiano è la lingua della musica, il tedesco della letteratura, il francese della cucina, l'arabo della filosofia naturale (per scienza), l'inglese è la lingua dell'informatica.
Essere "la lingua del" ovviamente non esclude che sia l'unica ad esserne precipua, sia la sola da utilizzare o che ogni termine possa essere tradotto o sostituito da una parola della propria lingua, soprattutto se esso non è specialistico o non sottende un'accezione particolare (è anzi una buona prassi e allenamento), ma sottointende che lo standard di comunicazione si stabilisca in tale lingua che, per caso temporale o per merito di propri esponenti, la faccia da padrone.
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