apro il mio primo topic con un argomento fumoso, lungo, contorto e possibilmente controverso di modo da farmi prendere subito in simpatia da tutti

Tornando ad essere seri: in quanto aspirante artista (non me ne vogliate, non me la sto tirando, sto cercando un po' di introdurvi al mio punto di vista) mi trovo spesso a pormi delle domande sui linguaggi dell'arte in genere e specie sulla fotografia. Spero che degli appassionati come voi abbiano voglia di contribuire, anche se mi aspetto un semplice dialogo, non pretendo una illuminazione.
In particolare quello su cui rifletto è questo: parto dal presupposto che per me l'arte è espressione. Permettetemi però di spiegare cosa intendo per "espressione": per me l'espressione è lungi dall'essere un concetto romantico sul bisogno dell'uomo di esprimere la bellezza che avverte nel mondo ecc. ecc. Per me il bisogno dell'uomo di esprimersi nasce dalla sua "vera" essenza: la Paura.
L'uomo teme continuamente a livello inconscio che il mondo che percepisce con i sensi e elabora con la mente, sia in realtà un'illusione, una bugia.
Da questo nasce il suo bisogno continuo di "esprimere" (e quindi letteralmente spremere fuori) dei segnali, in attesa di una risposta consolidante la sua ipotesi che il mondo che lo circonda è davvero reale, e non è tutta una allucinazione. Siamo continuamente alla ricerca di rinforzi positivi sulla nostra "sanità mentale".
Volendo tirarne fuori una metafora visiva, l'uomo è rimasto fermo al momento in cui, rimasto nella Caverna, urlava fuori nella speranza di sentirsi rispondere da coloro che ne erano usciti che fuori andava tutto bene e che poteva uscire senza pericolo.
Dunque arriviamo alla deduzione necessaria: al bisogno innato di espressione corrisponde un bisogno innato di comunicazione.
Abbiamo bisogno di gridare tanto quanto abbiamo bisogno che qualcuno ci risponda "shh, va tutto bene".
E dunque da questo nascono i linguaggi, artistici e non. Forme codificate di veicolazione delle nostre espressioni. Tanto più efficaci quanto più diffusi e utilizzati.
Venendo al punto fondamentale (potete leggere direttamente qui se non volete leggervi il pippone precente)
Studiando l'arte ho notato che la tendenza negli ultimi 60 anni, un po' come nella società in genere, sia quello nell'isolamento e nella distruzione o abbandono dei linguaggi, o spesso dall'ossessione di costruirne di nuovi senza molto criterio (se non quello dell'egocentrismo), con la conseguenza spesso di creare un'arte che interessa soltanto chi ci guadagna e lascia gli altri indifferenti. Un'arte compiaciuta di essere inutile e insignificante (inteso etimologicamente e non come un semplice insulto)
In tutto questo la fotografia riveste un ruolo stranissimo, in quanto, essendo così giovane, non ha avuto tempo di cristallizzarsi in linguaggi universalmente (o quasi) riconosciuti (come la letteratura o la pittura ad esempio) dunque ha subito lo sconquassamento degli ultimi 60 anni più che altro (paradossalmente) come una perdita di memoria.
Un ritratto fotografico, ad esempio, non è mai stato così chiaro nelle forme agli spettatori tanto quanto, continuando con gli esempi, un passaggio da minore a maggiore (riconosciuto da tutti, consciamente o meno, come "allegro").
E dunque, dopo tutto questo giro di parole, arriva la domanda fatidica: Voi come gestite i vostri significati nelle vostre fotografie? Pensate che non ce ne sia nessuno? Che non siano consciamente gestibili dall'artista? Cercate di costruirli attraverso forme riconoscibili (ad esempio una donna nuda ammiccante per comunicare desiderio)? E in entrambi i casi, avvertite il disagio di stare facendo "qualcosa di inutile e insignificante"? O no?
Spero di avviare una discussione interessante, non linciatemi
