Silverprint ha scritto:[mention]Marco Leoncino II°[/mention] Questo passaggio di Feiniger è ovviamente sacrosanto e dovrebbe essere ovvio.
A modo mio la dico così: gli amatori sono molto presuntuosi, trovato qualcosa di interessante fanno una, due, tre foto e si accontentano, invece uno che fa immagini va oltre e sperimenta molto di più.
C'è un altra cosa in proposito: per fare qualcosa di buono bisogna arrivare alla crisi e solo oltre di essa c'è la speranza di trovare qualcosa. Mi spiego: di fronte a qualcosa che ci spinge allo scatto le prime immagini sono le più scontate, più legate alla propria memoria del lavoro proprio e altrui. Lo vedo accadere spesso ai miei corsi; spingere alcuni a scattare oltre l'ovvio è proprio difficile, fanno il loro (poco) e poi il buio. Ma in realtà è proprio quello il momento clou! È quello il buio oltre il quale bisogna andare, la comfort zone da abbandonare e lo si può fare solo sperimentando.
Ovviamente in quest'ottica sperimentale regole e precetti NON possono esserci, quelli stabiliscono proprio la comfort zone, terzi, quinte frazioni varie, serie, sono tutte cazzate. Faccio notare in proposito che quella è roba che si fa nel mirino.
Riprendendo quello accennato prima molto della sperimentazione è proprio cambiare il punto di vista, cioè la prospettiva. Non si tratta di stare fermi come pali e spostare l'inquadratura qua e la magari zoomando finché quinte, terzi e baggianate simili fanno una cosa caruccia nel mirino (con un minimo di pratica ci si riesce sempre) si tratta proprio di muoversi! E muoversi guadando e ragionando.
Il punto di vista è così trascurato dai fotografi! Poverino! Eppure nella sua accezione metaforica gli diamo la giusta importanza, no?
Ma di nuovo non si tratta di spostarsi per mettere ordine in qualche modo più o meno cervellotico nel mirino, il nostro "punto di vista" è uno degli strumenti espressivi più forti e potenti. L'altezza cui ci posizioniamo è, per esempio, un carattere potentissimo nel ritratto, anche qui le metafore dovrebbero aiutare. Vi viene in mente qualcosa? Io penso a "guardare dall'alto in basso", sprezzo e desiderio di dominio. Ricordatevene quando fotografate le persone.
Un altra questione è quella del "soggetto" che viaggia sempre con la "cornice": è roba superata. La foto esiste solo nel suo insieme, non si può pensare più a soggetto e contorno. Già pensare le cose così esprime un desiderio di dominio: "ti metto in cornice"; "ti isolo dallo sfondo".
Oppure pensando al paesaggio li vedo li a tentare di metterci ordine con quinte, linee compositive e robaccia simile, sempre e solo desiderio di dominio e possesso, ma l'era coloniale è finita da un pezzo... direi.
Infine la "composizione" è quasi solo il taglio, un atto di estrazione. Lo si può fare in due modi fondamentali: per chiudere, o all'opposto per aprire. Però chiudere, guarda caso uno dei sistemi per farlo è proprio usare quinte, terzi e ammennicoli vari, è ancora desiderio di dominio, di appropriazione. Metto in foto un angolino di mondo "ideale", un'idea rinascimentale, cosa che nella consapevolezza attuale delle cose del mondo è, come minimo, superata. Comporre per aprire è più difficile, estrarre un pezzetto che faccia pensare che oltre di esso c'è sempre un infinito, indomabile, inconoscibile. A me piace tentare di fare foro così.