Esperimenti...

Racconta un tuo scatto, le scelte prese, l'inquadratura, il soggetto, la tecnica di sviluppo e la metodologia di stampa...

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luca_dega
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Re: Esperimenti...

Messaggio da luca_dega »

Non andate in giro di notte a fotografare, ragassi.
Io 2 anni fa sono uscito, in gennaio, con borsa e cavalletto. Mi metto li, all'inizio di un campo vicino casa e monto il treppiedi per fotografare un'albero. Passano i carabinieri, mi guardano ed, allarmati, cacciano una retromarcia "convinta" e con fare allarmato mi chiedono: << scusi ma cosa sta montando ?!>> Io, noto simpaticone con fare velatamente sfanculatorio (quello ce l'ho di default però) gli rispondo: << un lanciarazzi. >>
Ovviamente sono scesi di corsa... però a pensarci è stato divertente :-? Ok, potete andare in giro di notte a fare foto.



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Andrea67c
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Andrea67c »

Un up, destinato ai nuovi come me o nuovissimi del forum, per questo fantastico thread, scoperto stamane.

Forse mi ha colpito perché si vede "in diretta virtuale" la genesi del progetto di soli e lune di Andrea.
Forse perché il tono della discussione è falsamente polemico bensì altamente propositivo.
Forse perché viene lanciato in poche frasi uno sguardo attento e disincantato su mille anni di storia dell'immagine.
Forse perché si tocca di striscio, senza farci troppo caso e quindi più effiicacemente, un tema a me molto caro, trasversale a tutte le arti, ossia quello dell'arte come infallibile striumento di persuasione politica da parte del potente.

Insomma, un'altra perla rara scoperta sotto la polvere di byte di questo forum.

Spero di aver fatto cosa gradita.

Ciao!
A.

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Zamba13
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Zamba13 »

Graditissima!
Alessandro Zambaldi - Verona

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Andrea67c
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Andrea67c »

Zamba13 ha scritto:
15/02/2022, 20:07
Graditissima!
Hai fatto bene a ri-upparlo. Lo rileggo ed è ancora sempre notevole.

Ciao!
A.

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Valerio Ricciardi
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Valerio Ricciardi »

Silverprint ha scritto:
01/05/2013, 17:00
Bravi! :D

Tanta carne al fuoco!

Ma io preso da infinita pigrizia per rispondere vi rifilo un par di paginette tirate fuori da vecchie note.
Naturalmente riflettono le mie posizioni da artista, non da storico, sono cioè largamente opinabili, ma chiariscono (spero) il mio sentire (polemico, per natura... :p ).

"... E d'altra parte questo (mio) perfezionamento della tecnica è legato a quest'altra componente della mia ricerca, quella di provare a ridurre l'importanza della lettura concettuale dell'immagine valorizzandone al massimo gli aspetti percettivi. Ma c'è da aggiungere ancora una cosa: il proposito di non rompere il nesso naturale immagine-contenuto, il proposito di superare l'interpretazione concettuale per ritrovare almeno la speranza di un'universalità, e qui il discorso si fa veramente complicato, anche perché la questione è per me assolutamente fondamentale.

Cominciamo col dire una cosa semplice, ma chiarificatrice: ogni immagine in cui il soggetto sia riconoscibile può essere sottoposta ad una interpretazione concettuale. Ed è lo stesso anche per un immagine astratta in cui il soggetto originario sia ipotizzabile. Piet Mondrian, per esempio, ci dice sempre nei titoli cosa dipinge. Tutte le fotografie si possono quindi leggere anche in maniera concettuale (altre immagini ottenute con procedimenti fotochimici, in cui non vi sono elementi riconoscibili, andrebbero considerate, ai fini interpretativi, opere grafiche informali su carta e non "fotografie"). L'interpretazione concettuale si basa sul riconoscimento degli elementi dell'opera, gli da un nome e li riorganizza dandogli un senso verbale, si fonda sulla memoria e sulla cultura: non si può riconoscere una cosa ignota.
Nell'arte concettuale, da Duchamp in poi, si è portato il discorso alle massime conseguenze, la vista è banalizzata e ridotta al minimo possibile delle sue funzioni, non conta affatto ciò che vediamo, la percezione, conta solo il riconoscimento. Il complesso processo del vedere è ridotto ad un breve attimo, solo quel tanto che basta ad attivare la memoria e riconoscere gli oggetti, i singoli elementi. Di queste opere si può dare solo una interpretazione concettuale, mentre delle opere figurative (o astratte, ma riconoscibili) in genere si può dare anche un'interpretazione concettuale. Come esempio famoso di opera di cui si può dare solo un'interpretazione concettuale penso al solito citatissimo Fontana, l'orinatoio a cui Duchamp cambia il nome e l'uso (inventando i readymades), in cui ogni interpretazione possibile dell'opera non può prescindere dal riconoscimento dell'oggetto: se non sapessimo che l'orinatoio è un orinatoio, ma lo guardassimo e basta o lo guardassimo pensando che è una fontana ci faremmo un opinione assai scarsa (o nulla) dell'opera e dell'artista. Ci sembrerebbe sicuramente una cosa inutile e strana o la più brutta fontana mai inventata, manca pure l'acqua!
Fontana è anche un chiaro esempio di distruzione del nesso naturale immagine-contenuto, ogni interpretazione possibile nulla ha a che vedere con l'aspetto dell'oggetto, si trova proprio su un altro pianeta. Nel caso specifico sarebbe una riflessione sullo statuto dell'opera d'arte (cos'è l'opera d'arte?), su quanto sia importante il contesto in cui è mostrata (è il luogo ed il modo in cui è mostrato l'oggetto che fa si che sia arte?), ma soprattutto il segno di un atto di volontà, la firma (questo sarebbe l'arte). Ma più passa il tempo meno riesco a vedere tutta questa storia se non come l'opposto della fiaba di Andersen "Il vestito nuovo dell'imperatore". Questa volta però il popolo, invece di ridere e deridere l'imperatore, c'è cascato come lui e s'è messo ad applaudire il nulla. E per me questo paragone al contrario si applica a tutta l'arte puramente concettuale. E tanto per rimanere sullo stesso tono, a proposito di cessi etc. e di chi non sa cosa siano, né a cosa servano è proprio da vedere il film con le divertentissime e terribili avventure di Borat (studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan) di Sacha Baron Cohen. :D
In questa così detta rivoluzione concettuale ci sono molti elementi che io detesto profondamente, sinteticamente: la rottura del nesso naturale immagine-contenuto, l'abbandono del craft, del saper fare delle mani e l'impossibilità di una universalità.

- La rottura del nesso naturale immagine-contenuto è legata alla negazione del valore della percezione, negazione già presente nella cultura platonica e cristiana. Negazione che poi prende caratteri ancora più estremi in alcune derive di concetti di un certo esistenzialismo francese.

- L'abbandono del craft, del saper fare delle mani, della bellezza degli aspetti percettivi che l'amore per la propria arte e per il prossimo trasmette. Tutto ciò diventa un inutile anticaglia perché non essendo necessaria per riconoscere gli elementi di un opera (per riconoscere basta poco, si riconosce anche un simbolo o la segnaletica stradale), finisce addirittura per essere considerata una cosa in eccesso, un cosa negativa: un opera che dia “piacere” ai sensi è volgare (di nuovo morale cristiana). Ecco in proposito alcune frasi di Duchamp: “Volevo far sì che la pittura servisse ai miei scopi e volevo allontanarmi dal suo lato fisico. A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della mente. (...) Di fatto fino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata tutta al servizio della mente. Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più fascino sensuale offriva un quadro - quanto più era animale - tanto più era apprezzato” O anche: “La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva (...) Per approccio retinico intendo il piacere estetico che dipende quasi esclusivamente dalla sensibilità della retina senza alcuna interpretazione ausiliaria. Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti”. Più chiaro di così!

- L'impossibilità di una universalità. E questa è veramente cosa triste assai: la possibilità che l'arte possa essere compresa da tutti gli esseri umani è un'idea bellissima. Dato che per comprendere le opere concettuali (o per comprenderle concettualmente) bisogna già conoscere gli elementi che le compongono se si proviene da una cultura diversa non si possono comprendere. In proposito devo specificare che io non credo che la cultura visiva si trasmetta per via genetica o attraverso la trasmigrazione delle anime! Né tanto meno credo all'esistenza di una simbologia universale originaria misteriosamente trasmessa a tutti che permetterebbe questa comprensione (l'ossesione vana e paradossale di Warburg).

Tra l'altro bisogna osservare che con l'arte concettuale si ripropone la superiorità della cultura occidentale, visto che agli altri, alla maggioranza degli esseri umani, viene preclusa la possibilità di comprensione di questo tipo di opere poiché non possono riconoscere (o ben riconoscere) oggetti e icone della nostra cultura.
Se faccio un paragone e penso alla fascinazione per l'arte primitiva ed alle ricerche di Modigliani, Brancusi o Picasso, di pochissimo antecedenti, come anelito all'universalità, alla piena riconquista del nesso naturale immagine-contenuto, la “rivoluzione” concettuale appare come una contro-rivoluzione reazionaria, la restaurazione dei valori più deteriori e conservatori della società borghese.

Ormai penso che la storia dell'arte, almeno dal medioevo ad oggi, possa essere letta come una battaglia tra dimensione concettuale e dimensione percettiva. Dove l'aspetto concettuale è dato principalmente dalla committenza, mentre l'aspetto percettivo è opera esclusiva dell'artista.
La committenza ordina un certo soggetto per i suoi contenuti concettuali (per una lettura esclusivamente concettuale ogni cristo in croce vale l'altro, escludendo eventuali elementi iconografici aggiuntivi), all'artista è lasciato un certo grado di libertà di interpretarlo, ma gli viene lasciata perché è un fatto irrilevante. Il fatto che il committente volesse certi contenuti concettuali non significa che non preferiva un certo artista ad un altro per le sue qualità visive, però è vero anche che per molti committenti e per molto tempo, specialmente per la chiesa (a lungo il committente principale) spesso un artista valeva l'altro o perlomeno era facilmente sostituibile. E infatti gli artisti erano costretti (ed umiliati) a raccomandarsi in vari modi, che niente c'entravano con la loro arte, per ottenere una commissione. Così come è vero che il riconoscimento dell'identità degli artisti è un fenomeno che si afferma molto lentamente e diventa storicamente e quantitativamente significativo solo quando la ricerca degli artisti in campo percettivo era già molto avanzata e la considerazione per le qualità visive delle loro opere trovava ormai un pubblico più sensibile nella committenza privata. Come ben ci raccontano i Wittkower in Nati sotto Saturno la piena affermazione dell'identità dell'artista, iniziata intorno al '500, fu conflittuale, graduale e difficile. Ancora più difficile fu per gli artisti giungere a produrre opere in piena libertà, poiché i committenti continuavano a voler decidere gli aspetti concettuali delle opere anche quando ormai ne apprezzavano bene le qualità percettive.
E così molto a lungo gli artisti furono costretti a subire questa negazione per via del pubblico colto e della critica che legge e apprezza principalmente gli aspetti concettuali e della committenza che chiede opere per il loro valore concettuale e solo secondariamente percettivo. Gli artisti hanno risposto a questa negazione con una ricerca per l'esaltazione degli aspetti percettivi, tentando di annichilirne gli aspetti concettuali ed affermando con sempre più forza la loro indipendenza svincolandosi man mano dai committenti, portando avanti sempre più spesso ricerche libere.
Questa ricerca sulla percezione e la sua forza comincia più o meno ai tempi di Giotto (penso non tanto al ciclo della storia di Francesco d'Assisi, quanto ai suoi colori, od alle decorazioni della cappella inferiore, al cielo stellato), poi viene spinta gradualmente sempre oltre. Forse un salto evidente (che corrisponde anche alla conquista di una grande libertà produttiva) possiamo leggerlo in Turner o Constable e poi negli impressionisti, poi Van Gogh e Cezanne, etc. Ma la negazione permane, forse non bastano le immagini a combattere certe antiche idee.
E infatti lo scontro più radicale avviene proprio quando sembra che la maggior parte degli artisti abbiano finalmente conquistato la piena libertà con la sparizione del committente classico e la normalità della libera produzione in un libero mercato. Che poi per chi fa ricerca più liberamente spesso significhi morir di fame perché poco s'incontra il gusto della borghesia (il “nuovo” acquirente, lui si che è finalmente libero!) cioè che le cose in pratica poco cambiarono, è solo apparentemente un altro discorso.
Ritornando agli albori dell'arte concettuale, secondo me è proprio a questo graduale imporsi della dimensione percettiva che Duchamp reagiva violentemente (bastano le poche frasi riportate poc'anzi) con la pretesa di riportarci indietro. Ma non solo di cent'anni come diceva (già erano troppo intense le sensazioni percettive delle opere di allora), ma molto più indietro. L'arte concettuale finisce infatti per essere un ritorno al medioevo, ci rimette nelle condizioni degli analfabeti che guardavano sulle pareti delle chiese i cicli di affreschi con le storie dei santi, etc. storie a loro ben note, esempi ed ammonimenti del potere. In quest'ottica non si può considerare un caso che tanto spesso le opere concettuali propongano ammonimenti morali o semplici critiche sociali, per altro di solito accettabili anche nel più borghese dei salotti al più al prezzo di qualche ben studiato rossore.

Di li a poco si arriva ad uno scontro estremo: di fronte a quest'ultima grande negazione, che l'arte concettuale incarna, la ricerca percettiva si spinge oltre, si spinge fino all'eliminazione della possibilità di riconoscere un oggetto, all'eliminazione totale della possibilità di una lettura concettuale che troviamo in un Rothko o in un Burri informale. Grazie a loro l'opera diventa una novità assoluta. Non rimanda a niente di già noto, non attiva riferimenti mnemonici o culturali. Costringe a rimanere ad una percezione libera, non consente uno sguardo orientato. Autori magnifici e “difficili”. Di fronte alle loro opere alcuni si perdono, senza cultura, senza identità razionale, coloro che hanno perso la forza di fidarsi di ciò che sentono o non sentono più nulla vi si specchiano avvizziti, svelati nella loro pochezza.
Ma nell'insieme delle opere prodotte allora Rothko e Burri sono una minoranza, dei magnifici perdenti. Infatti e purtroppo l'arte concettuale domina tuttora il mercato, cioè incontra il plauso del potere. In altri termini è come se gli artisti concettuali abbiano interiorizzato il più arido dei committenti (ormai sparito da tempo), come se ciò che li guida fosse il fantasma del committente più astratto ed assoluto.
C'è da dire tuttavia che forse ultimamente va un po' meglio: la grande mostra itinerante di Rothko ha avuto un grandissimo successo: ho visto con immenso piacere che qualche inverno fa c'era quasi un chilometro di fila di fronte al Palazzo delle Esposizioni a Roma. E più in generale, ho la sensazione che anche i ricchi ed i parvenue ne abbiano avuto abbastanza di “brutte” opere che gli titillino la mente."

Ecco...
Post estremamente interessante. Estremamente.
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Valerio Ricciardi
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Valerio Ricciardi »

bafman ha scritto:
01/05/2013, 23:27
ho letto con grande interesse Andrea e ti ringrazio di aver condiviso opinioni interessanti e tesi intelligenti.
alcune note sparse, a caldo:

m'è parso di leggere una sorta di disillusione e di astio verso una stereotipata committenza, grassa e vanitosa… lo spartiacque del '500 che hai citato richiama il tormentone di Bernini e Borromini ed è fuor di dubbio che la committenza fosse motivo di ansie, ma i genii sanno aggirare i capricci (si suicidano, piuttosto…) e lasciano la loro traccia; chi è in favore di committenza ma senza altre doti… no (pensiamo alle architetture sotto i regimi).

non sarò io certamente a biasimare la percezione retinica, purché non diventi l'alibi per esaltare "il bello in quanto bello" lasciando il cervello in folle (il riferimento che facevo nel post precedente a certi "esteti in HDR" dei nostri giorni non è casuale)

passo la mano sul domandone di cosa sia arte, mentre su quanto sia importante il contesto in cui è mostrata mi sembra evidente, come lo era al citato Stieglitz.

Che il popolo si sia messo ad applaudire il nulla (parafrasi di Andersen) è una tesi avvincente che mi sembra si incentri però sul significante nell'immediato, più che sul significato e sulla sua onda lunga.

La valenza dell'artigianato… non faccio fatica a capire la tua critica verso certi messaggi del ready-made.
non trovo tuttavia una piena equivalenza tra piacere sensoriale e volgarità secondo la morale cristiana, se ripenso al senso del bello sublimato nell'armonia e così bene accolto in altre arti.

E veniamo alla voglia di universalità. a mio parere nasconde un'insidia, quella che per attuarsi potrebbe dover rinunciare ai bagagli culturali di millenni, e uso il plurale come serena presa di coscienza che moltissimi sono i percorsi dei popoli.
perché dovrei? sono una ricchezza… a meno di non considerarli zavorre, preconcetti e barriere a ostacolo di un comune sentire.
la tentazione dalla fine dei '60 si ricicla in svariate forme, ormai disinnescata ed edulcorata nei tatuaggi tribali, nella notte della taranta che fa tanto "liberatorio ritorno alle origini", nei manufatti da omologazione-ikea (de-concettualizzati?)

chiudo con una considerazione sul chilometro di fila che citavi nelle tue note a proposito di Rothko: ahimè mi ricorda la fila per Van Gogh a Roma nell'88, tra gli astanti v'era chi giurava sulle origini olandesi del pittore per via di quel "Van", alla luce di Van Basten.

O:-)
Anche questo. Da ragionar su ambedue per tentare una risposta NON troppo intellettualizzata.

Un solo anticipo: per me, non esiste proprio la percezione retinica come fase "di livello più basso", meno evoluto, più basic - perché più condizionato da aspetti inconsci - dell'accettazione culturale e dell'apprezzamento di un'opera.

Perché l'informazione retinica viene trasmessa a un cervello,
ed il modo con cui il cervello "decide" - oggi, qui e adesso - se ciò che vede è interessante/bello/stimola un giudizio/stimola una reazione emotiva positiva, negativa, indignata, angosciata, eroticamente attratta (anche se in modo sublimato), affascinata, disgustata, etc etc etc è il prodotto finale, a mio avviso, IN GRAN PARTE - PER FORTUNA NON AL 100%, E SE ANCHE FOSSE IL 99,9% BASTA QUELLO 0,1% PER RENDERE POSSIBILE LA SPERANZA DI LIBERTÀ - di un incontrollabile e, addirittura, solo parzialmente razionalizzabile (e perciò descrivibile, non puoi descrivere, magari sbagliando, ciò di cui non ti sei fatto un'immagine mentale, sia pure incompleta) condizionamento ambientale che probabilmente inizia da quando la giovane futura mamma magari per allentare l'inquietudine crescente in vista del parto ascolta Mozart, e la musica arriva al feto.

Ognuno di noi è, molto, frutto del suo mondo e di ciò che ha visto e sentito attorno a sé dà quando ha iniziato a gattonare. Della cultura in cui è cresciuto, anche se con ovvie grandi differenze di scolarizzazione e consapevolezza, ma non è che sul più scolarizzato i condizionamenti ambientali agiscano meno: al massimo, ne prende più facilmente coscienza. Ma non molto di più.

Il c.d. intellettuale (per proprio talento e volontà di approfondimento a dispetto della povertà degli stimoli che potevano arrivargli da chi lo ha cresciuto - magari perché troppo necessariamente concentrato a garantirgli la sussistenza... - o fortunato soggetto passivo di un percorso di acculturazione ambito dalla sua famiglia), è - semplicemente - un po' più consapevole di ciò che ha attorno

e del fatto che ciò che ha visto, sentito, letto, ciò relativamente a cui qualcun altro, prima, gli ha detto "questo che vedi, è bello"... lo ha plasmato e predisposto a, in futuro, per analogia giudicare bello o brutto qualcosa d'altro, che inconsapevolmente (non ho scritto inconsciamente, ho scritto - stavolta - solo inconsapevolmente e non voglio andare a rimestare per forza altro dal fondo del secchio rischiando di intorbidare tutto) percepisce come affine alla sua esperienza visiva o uditiva pregressa.

Infatti Ansel Adams scriveva "Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato".

Da questo, discende perciò la mia sensazione, che non propongo come giusta e che mi pare che ad esempio 'silverprint' condivida, che l'universalità della possibilità di comunicare ai propri simili attraverso l'arte... esista solo nell'ambito di contesti culturali se non proprio simili, sufficientemente affini. Poi, ogni tanto, qualcuno ha un guizzo che gli permette di superare "i confini che gli competono" e realizza qualcosa che può smuovere un po' la mente e le budella anche di chi è stato formato con una testa completamente diversa dalla sua.
Cioè, riesce a parlare anche con chi non è membro della sua tribù. Ma cio è, temo, infrequente.
Ultima modifica di Valerio Ricciardi il 19/01/2025, 15:03, modificato 2 volte in totale.
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Valerio Ricciardi »

A proposito: Vedo che avete citato ambedue Rothko.

Bè, Tano Festa (Roma 1938-88) riteneva che l'arte è plagio, scriveva
"(...) credo che l'arte sia una specie di catena di S.Antonio che prende le mosse dai primi graffiti degli uomini primitivi sulle pareti delle caverne; solo che invece di scrivere lettere gli artisti rubano l'uno dall'altro, di padre in figlio, di generazione in generazione. E il loro furto è trionfalmente legalizzato, onorato e mercificato in soldi dalla società civile".
Non vorrei dire, ma così facendo delegittima tutta la storia delle arti figurative e la storia della musica dell'Occidente. Tutta. Motivo?
Chi viene dopo, viene in qualche modo senz'ombra di dubbio influenzato da ciò che è stato fatto prima di lui, nel caso l'abbia visto (o ascoltato).

embé ??

Antonello da Messina quando fu a Napoli ebbe modo di vedere la pittura fiamminga di quegli anni; c'erano pittori fiamminghi alla corte degli angioini, e ritratti di quella scuola nelle collezioni reali. Ne può aver tratto elementi di giudizio, ispirazione, formazione estetica?
Direi che ci possiamo contare. Lo si sarebbe dovuto rinchiudere in una stanza dall'età di tre anni ricevendo cibo e acqua dall'esterno col divieto di osservare altro dalla finestra che non fosse il cielo, a garantire che il prodotto della sua creatività non potesse mai copiare o ispirarsi inconsciamente ad alcuno? E perché mai?
Questo gli ha forse impedito di evolvere una SUA poetica originale, una sua maniera di integrare nel proprio talento il prodotto di quello degli altri? (alzo la cornetta in diretta) Mi dicono dalla regia di no, che c'è riuscito benissimo...
Chopin era un profondo non solo conoscitore, ma sfegatato ammiratore dell'opera di JS Bach. Gli eruditi riconoscono alcune sfumature di tecnica compositiva squisitamente barocca negli Studi, nei Preludi, in alcuni passaggi dei Concerti per pianoforte e orchestra.
Ancora: romantico per romantico, dopo massimo due minuti di ascolto, se non sei proprio una zappa riconosci immediatamente se stai sentendo Chopin o Schumann, non solo distingui Chopin da Mozart. Due minuti, ovviamente se si tratta di brani che non conosci. Eppure son tutti e due figli della stessa epoca e movimento culturale, erano coevi (fra il 1809 e il 1811 nacquero loro due, Mendelsshon e Liszt)... vedevano il mondo e la storia un po' dallo stesso punto di vista, come i due uomini in fondo al sentiero assorti davanti al tramonto di Caspar David Dietrich
.
Caspar David Dietrich.JPG
Adesso, molto più facilmente l'artista vede ciò che è stato fatto prima di lui: la diffusione di immagini e suoni è sommamente facilitata dal mezzo informatico, bla, bla, bla, bla. Mi è venuto in mente Tano Festa, perché ad esempio al Macro di Roma c'è proprio un Omaggio a Rothko, del 1962. L'ho fotografato - ancora mi ricordo in condizioni di grande scomodità operativa (non si poteva muovere dalla posizione in cui era, infelicissima per piazzare stativi e lampade) - per AL MACRO: entro ed oltre l'opera (Palombi Editore, Roma 2007, in coll. con Associazione MUSEUM... quando era direttore il vulcanico Danilo Eccher). Questo:
.
photo_2025-01-19_11-27-31.jpg
(DISCLAIMER per i mod: A parte Dietrich che è da Wikimedia Commons, gli altri scatti a pagine del libro col telefono... posso riprodurli qui o altrove senza problemi perché tutte le foto della pubblicazione meno una sono mie = ne mantengo la proprietà letteraria e con essa i diritti di utilizzo a fini antologici purché non di lucro, nessun rischio di contestazioni)
Quattro campiture su tavola in tre colori, prima incorniciate in legno naturale (si vedono bene nella foto originale i tagli a 45° agli angoli dei listelli di ogni singola cornice) poi tutte composte e assemblate permanentemente su un supporto.

Lo trovo gradevole visivamente? ... ma sì, certo. Mi suscita in qualche modo una reale emozione di qualche tipo, mi stimola suggestioni, evoca ricordi lontani, smuove qualcosa, percepisco, qui, una poetica sincera ed originale che vada oltre una ragionata ricerca di accostamenti cromatici? Onestamente no. Nada. Nisba. Se esattamente di quella fattura fossero stati realizzati, composti proprio così, proporzione e colori, i frontalini dei cassetti sulla parte di base di una cucina componibile di grande marca, di quelle costosissime che vanno nelle case dei benestanti ristrutturate con la direzione di un architetto bravo, l'avrei trovata originale ed elegante.
Ma siamo a livello di complementi d'arredo di buonissimo effetto grafico, esattamente come in cuor mio vivo, per citare un'altra opera al MACRO di Roma (nell'ex fabbrica di birra Peroni), una delle tele estroflesse di Castellani.
.
photo_2025-01-19_12-03-26.jpg
...io quest'oggetto :-? lo immagino in un salone un po' grande, col pavimento ricoperto di un compatto bouclé di moquette grigio antracite; appoggiato sulla parete di fondo, ci vedo un divano a forte sviluppo orizzontale, di linee essenziali, rigorose, un filo algide e molto Bauhaus, foderato in tela a maglia ruvida color vinaccia. La parete è tinta con una lavabile opaca color grigio elefante, nettamente più chiara della moquette a terra, ma sulla quale ovviamente stacca benissimo la Superficie bianca (1997) di Castellani. Non ho ancora deciso se la bassa zoccolatura alla base della parete stia meglio "mimetizzata", in tinta con la parete, o del tono del divano, bianca direi di no.
Se stessi in una ristrutturazione impostando un MIO salone, e mi capitasse quella tela, a cinquecento euro, to', pure ottocento, ma sì, se in quel momento "sono un po' in grana" pure mille, la attaccherei in una posizione a mio gusto ben composta (non necessariamente centrata, seguirei sul momento l'uzzolo compositivo che mi agisse) sopra il divano. Anzi: siccome come opera creativa grafica mi piace molto, comporrei forme e colori come ho appena scritto. AH!! Dimenticavo: la ruoterei in orizzontale, mi si impagina meglio sulla parete del salone. (Scena: una torma di critici colla evve moscia che sembrano usciti da un racconto di Achille Campanile o Jerome K. Jerome... a questo punto scappa urlando e strappandosi disperati i capelli di fronte a cotanta mia barbarie :D ).

Quanto vale una tela estroflessa di Enrico Castellani sul mercato, nella realtà? Beh, il record (2014, e lui era ancora vivo!!!) è di 5 MILIONI di euro.
Ed ecco che allora, appena finito di affermare che le sue tele estroflesse mi piacciono, la mia reazione è, orgogliosamente,
.
Corazzata Kotjonkin.jpg
Penso peraltro che Tano Festa abbia inteso "prendermi in giro" generando astutamente le basi visive di una complessa superzcazzola di qualche critico d'arte, piena di latinorum (cfr. Manzoni), come certe che ho letto che facevano pensare al Maximiliano Fuffas di Crozza... per fare in modo che in base a quella narrazione qualche riccone lo pagasse una cifra scandalosa e se lo mettesse in salotto?
No, non ho motivi per dirlo, poi Festa è uno che ha avuto una vitaccia sofferta e tormentata, è morto giovane, non era ASSOLUTAMENTE una artistar paracula (mi scusino le signore) capace di galleggiare nelle gallerie che contavano. Anzi. Perciò massimo rispetto. E massimo rispetto per chiunque faccia ricerca e segua un suo percorso. Basta che non si pretenda che io debba sempre e comunque considerare la ricerca riuscita... sulla base del valore di aggiudicazione all'Hôtel Drouot, figlio spesso più delle supercazzole di tanti, tanti Guidobaldo Maria Riccardelli che di quanto fosse profondo e rivoluzionario ciò che aveva da dire l'Autore...

Per cui ad esempio di Rothko mi lascia alla fine una sensazione più durevole questo, e le altre serie dedicate alle Subway di New York
.
Entrance to subway, 1938.JPG
e, per favore, non ditemi che è perché siccome ancora relativamente figurativo è meno distante dal mio condizionamento retinico...

PS/ 1) quanto sopra detto relativamento all'astratto e all'arte concettuale, non vale - per me - però - se penso alle composizioni di Mondrian, che invece sì, che mi suscitano qualcosa, fanno suonare corde agli estremi della tastiera, come quando facevo una sessione di arrampicata "mi fanno dolere muscoletti che nemmeno sapevo di avere"...
2) "... emmammasanta, possibile che quella volta al MACRO non ti sia piaciuto veramente qualcosa, che ti saresti portato a casa come opera d'arte, al di là della prospettiva di "risolverci" la parete sopra il divano?"
Certo che sì, la Maternità del '64 di Pino Pascali (Bari 1935-Roma 1968), un artista ispirato e sensibile, che, come gli altri, ha fatto ricerca quanto a tecniche espressive, materiali, temi. Ma che sento in ogni sua opera 100% genuino, 0% paraculo (quando ce vo, ce vo').
"Piantai la grana" con successo perché una sua inquadratura parziale, sfumata a perdersi in un fondo grigio pastello, fosse sfondo della copertina.
.
photo_2025-01-19_13-06-26 (2).jpg
3) spero ardentemente di aver fatto arrabbiare almeno un po', in un modo o nell'altro, tutti :D :D :D
Ultima modifica di Valerio Ricciardi il 19/01/2025, 22:00, modificato 1 volta in totale.
Manchmal ist der Weg am Ende weiser als derjenige, der ihn geht - (Rudolf Borchardt, 1929)

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Re: Esperimenti...

Messaggio da Valerio Ricciardi »

:) ...e dopo tutto ciò, come andò avanti il progetto di Andrea?
E' visibile in qualche modo in qualche sito?
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Silverprint
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Silverprint »

È stato in mostra un paio di volte a Roma.
Trovi qualche articolo e un po' di foto nel web e nel sito della galleria.
Di recente è stato pubblicato un articolo su Classic Camera BW, dove ce ne sono un paio, insieme ad altre cose.
Andrea Calabresi, a.k.a. Silverprint
http://www.corsifotoanalogica.it
[email protected]

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Valerio Ricciardi
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Re: Esperimenti...

Messaggio da Valerio Ricciardi »

Edit: trovato!, cercando col nome dell'autore.
Qualcosa ho visto, mi sono soffermato in prima analisi sopratutto su quelle con protagonisti Sole e Luna, e decisamente mi son piaciute.
Rognosissimo il target di rendere l'idea della luce abbacinante diurna - così come di una vera atmosfera notturna, come percepita da un occhio che dopo un po' si adatta, e vede nella penombra; ma per contrasto, è un po' abbagliato stavolta dalla Luna... anche se una volta calcolai che la luminanza della Luna piena a terra era equivalente a una lampadina a incandescenza da 40 W all'altezza di un lampione...

Andrea aveva citato anche il sostanziale rifiuto delle avanguardie verso, anche, i vertici "artigianali" raggiunti nel figurativo (o, comunque, l'esigenza di sperimentare altro da modelli consolidati di gusto, composizione, tecnica). Che ci sta, ovviamente, senza una ricerca che tenti anche strade completamente diverse "finiremmo" tutti, come minimo, un po' preraffaelliti...

Ma quanto al legittimo naturale effetto del bagaglio visivo che ognuno si porta dentro, a me vien da notare che una
(bella e difficile nella sua apparente ingenuità compositiva) immagine di Andrea, questa
.
Andrea Calabresi, (s.t.) Sun.JPG
mi sembra influenzata (come poetica o come esperimento? Non lo so, direi tutt'e due... ma sopratutto la prima) dal Rising Sun del 1904 di Giuseppe Pellizza (GAM, Roma), il che da parte mia vuole essere un complimento.
.
Pellizza da Volpedo 1904.JPG
NOTA: questa riproduzione è fra le visivamente meno peggiori trovate al volo; sinora non ne ho viste di capaci di avvicinarsi alla sensazione soggettiva che se ne ha trovandoselo davanti all'improvviso (viene, all'inizio, da socchiudere istintivamente un po' gli occhi per non abbagliarsi); la visita alla GAM è giustificata anche solo da questo quadro, IMHO.
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