I giorni nostri, come i giorni di Daguerre

Discussioni sull'etica e sulla filosofia applicata alla fotografia

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Orazio Mascioli
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I giorni nostri, come i giorni di Daguerre

Messaggio da Orazio Mascioli »

24 dicembre 1978, una piazza avvolta in una nebbia gelida, come cristallizzata.
I contadini del paese, intabarrati nei loro mantelli neri.
Magiche ombre scure, belle ed eleganti nella loro scarna miseria, malcelata da un misurato senso di ritrovato benessere. Erano consapevoli, i cafoni, di questa inaspettata sensazione di notorietà.
E ti guardavano con occhi furbi.
Sì sono io il cafone famoso, illustrato nei romanzi di Secondino.
Secondino chi?
E noi. Noi chi? raccoglievamo interviste.
Io scattavo foto. La fotocamera vibrava, sembrava confermarmi l’ordinaria straordinarietà di quegli scatti, di quegli sguardi.
Avremmo poi, appena trascorso il Natale, proiettato quelle diapositive al nostro Cinema Paradiso.

Personaggi e interpreti i cafoni.

Sono vissuti di vita propria gli scatti di quel mattino.
Di tanto in tanto mi tornava in mente il ricordo di quei momenti. Delle musiche natalizie emesse dagli altoparlanti sgangherati dei pesciaròli. Del profumo di baccalà.
Icone di un mondo ormai dissolto nella nebbia cristallizzata.
Come le linguine della vigilia, al sugo di tinca.

Finché un giorno, tantissimi anni dopo, il mio carissimo amico Romolo, mangiucchiando una mela limoncella di Ortona, mi regalò un suo libriccino.
E mi parlò con occhi furbi del suo prete, di don Severino.
Aprì le porte della chiesa, sua e di Romolo, il povero prete.
Le aprì la notte di Natale.
E le aprì ai migranti.
Sì, proprio a quei migranti che avevano preso, nella Piana del Fucino, il posto dei cafoni.
Lo sai, mi chiedeva Romolo, lo sai che all’ombra di quei pioppi si parlano oggi dialetti molto diversi da quelli di allora?
E lo sai che questi migranti provengono da una terra tre volte santa e mille volte crocifissa in nome del fanatismo religioso?

Capii, quel giorno, a casa di Romolo, le nuove povertà del mezzogiorno del mondo.

E tornai dai miei cafoni.
Il loro mondo s’era dissolto, ma l’icona doveva tornare a vivere.
Come un’iscrizione, quasi un epitaffio.
Presi una di quelle diapositive natalizie quasi scordate, una a caso.
L’appoggiai sul mio piano trasparente di lavoro, di fianco a don Severino e ai suoi migranti.
Spostai un lume sotto il piano.
Una nuova luce per quel cafone.
E misi un filtro, tra lui e la nuova luce.
Un foglio lucido da disegno tecnico.
E così, tra il cafone e la nuova luce, si disegnò una trama.

La trama dei giorni nostri.
Delle nuove povertà soltanto di passaggio.
Che guardiamo senza vedere.
Invisibili alle nostre coscienze.

Appena percettibile alla luce ritrovata di un lume.

I giorni nostri, come i giorni di Daguerre.
Giorni impegnati inconsapevolmente a sdoganare le nuove lastre dalle tele.
Giorni e decenni per affermare la nuova realtà sulla fantasia consolidata.
E noi, privilegiatissima generazione di fotografi a cavallo tra l’argento e il digitale, riusciremo mai a contenere gli algoritmi nelle nostre coscienze?
Saremo mai capaci di guardare nel nostro animo oltre l’effimero like di un social forum?

Rimpiango gli occhi furbi di Romolo che ancora mi parlano ogni volta che attraverso la Piana.
Ogni volta che vedo migranti scuri curvi sull’insalata sotto il sole di giugno.
Ogni volta che mi tocca ascoltare considerazioni diffidenti all’ombra del mio naso e del mio bar davanti ad un Campari fresco.
Mangerei volentieri una mela limoncella, andrei a pescare una tinca nei canali di Fucino.
Ma non ne trovo volentieri il coraggio.
Non mi basta più un foglio da disegno tecnico per disegnare la trama dei giorni nostri.
Dovrei tornare nella Piana col mio pezzo di plastica e parlare con quei cafoni.

Ma il mio pezzo di plastica ispira loro diffidenza.
Dovrei superare un freddo algoritmo, stavolta sì, troppo consolidato negli usuali files di un social forum.
E mi consolo.

Mi consolo ben sapendo che la mia Fotografia è pur sempre quella che dovrò scattare.
Un giorno qualsiasi, un giorno dopo l’altro.

E poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito.
Allegati
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.ila.
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Re: I giorni nostri, come i giorni di Daguerre

Messaggio da .ila. »

Ben ritrovato...

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“quando ci penso vorrei tornare
dalla mia bella al casolare
Emilia mia Emilia in fiore
tu sei la stella tu sei l’amore”

utente20200603

Re: I giorni nostri, come i giorni di Daguerre

Messaggio da utente20200603 »

Buonasera Orazio, belle parole.... Abito in un paese dove in passato si leggeva 'non si affitta ai terroni' e dove ora gli ex terroni scappano - 'qui è diventato uno schifo' dicono - subaffitando le loro case ai nuovi terrori del sud del mondo a 200 euro al pezzo. (Anche) La fotografia ha il dovere di documentare, ma tra le nostre mani rischia di creare il solito discorso. La macchina fotografica va messa nelle loro di mani, per vincere la diffidenza, e affinchè nasca una rappresentazione dall'interno, una narrazione spontanea e libera che parli davvero alle nostre coscienze.
Andrea

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Orazio Mascioli
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Re: I giorni nostri, come i giorni di Daguerre

Messaggio da Orazio Mascioli »

lagrandeguerre ha scritto:
31/05/2020, 20:20
La macchina fotografica va messa nelle loro di mani, per vincere la diffidenza, e affinchè nasca una rappresentazione dall'interno, una narrazione spontanea e libera che parli davvero alle nostre coscienze.
Andrea
Sarebbe veramente il massimo.
Sarebbe una comunicazione proveniente da esperienza e cultura altra dalla nostra.
E a quel punto si darebbe spazio a riflessione e confronto.

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