L'argomento è sicuramente complesso e una semplificazione può essere difficile se non impossibile senza dire stupidaggini o dare informazioni che alla fine provocano più danno che beneficio.
Premetto che non sono un fisico ne un chimico e che mi limito a riportare quanto letto, nei limiti di quanto ho potuto comprendere per la mia limitata conoscenza della fisica e della chimica.
Per approfondire l'argomento vi sono testi che lo affrontano a livello universitario o anche più specifico (l'università di Rochester aveva una specializzazione in ingegneria fotografica) alcuni dei quali sono stati ricordati qui, ma per chi avesse solo una curiosità e non volesse imbarcarsi in uno studio così approfondito, spero che quello che segue possa essere utile, anche perché mi sento un po' responsabile per aver suggerito io stesso l'apertura di questo thread.
Negli anni sono state sviluppate varie teorie che tentano di spiegare i meccanismi dello sviluppo fotografico, di cui almeno due o tre le più accreditate.
Ma prima di affrontare lo sviluppo vale la pena permettere cos'è l'emulsione fotografica e cosa accade quando la pellicola viene esposta.
Parlare di emulsione non è strettamente corretto, anche se oramai il termine è entrato nell'uso comune, per cui sarebbe meglio definire il materiale sensibile come una dispersione di alogenuri di argento in gelatina. Gli alogenuri sono i sali degli acidi alogenidrici (fluoridrico, cloridrico, bromidrico e iodidrico) che reagendo con l'argento producono cloruro, bromuro e ioduro di argento che sono sensibili alla luce (il fluoruro che io sappia no).
La gelatina invece è l’agente legante che permette di tenere gli alogenuri di argento sul supporto, è trasparente per cui ne permette l’esposizione alla luce, ma al tempo stesso grazie alla sua capacità di assorbire i liquidi, fa si che gli alogenuri possano essere raggiunti dalle soluzioni di trattamento.
Degli alogenuri di argento il più usato in fotografia è il bromuro d'argento e questo viene preso come riferimento nella trattazione dei meccanismi di sviluppo.
Esposizione
Detta in modo molto stringato e rozzo, il cristallo di bromuro di argento è costituito da un reticolo cristallino di ioni Ag+ e Br- ; quando lo ione Br- viene colpito da un fotone esso perde un elettrone che viene catturato dallo ione argento che si trasforma in un atomo di argento metallico.
Questo atomo di argento, grazie alla sua carica neutra, funge a sua volta da “trappola” elettrica per altri elettroni, liberati sempre dagli ioni bromuro a causa della collisione con altri fotoni. E anche questi elettroni “liberi” si combinano a loro volta con gli ioni Ag+ formando nella stessa sede altri atomi di argento e rendendo quindi più grande e stabile l'effetto dell'esposizione alla luce sul cristallo e creando quello che viene definito come “germe di sviluppo” (silver speck) cioè l'immagine latente.
Quindi il cristallo di bromuro d'argento esposto oltre a ioni Br- e Ag+ ha anche un area composta da un gruppo di atomi di argento metallico (per un numero variabile da un minimo di tre fino a qualche centinaio).
La soluzione di sviluppo
Il principio attivo della soluzione di sviluppo è l’agente rivelatore (spesso più di uno) che è una sostanza riducente cioè in grado di cedere elettroni. Cedendo elettroni l’agente rivelatore a sua volta di ossida. Proprio per questa sua caratteristica, l’agente rivelatore si ossida velocemente anche per l’azione delle sostanze ossidanti presenti nell’ambiente (principalmente l’ossigeno dell’aria e dell’acqua), per cui è necessario proteggerlo con un conservante che nella maggior parte dei casi è il solfito di sodio. Inoltre per accelerare la reazione chimica di sviluppo ed avere dei tempi di sviluppo convenienti ai fini fotografici il principio attivo deve lavorare in ambiente alcalino per cui nella soluzione di sviluppo deve essere presente una sostanza alcalinizzante. Questi sono i componenti essenziali di uno soluzione di sviluppo fotografico.
Meccanismo di sviluppo
Teoria della supersaturazione
Questa teoria si presuppone che lo sviluppo agisca con una azione solvente sul cristallo di bromuro di argento liberando ioni Ag+ in soluzione. Questi ioni Ag+ vengono ridotti dal rivelatore in atomi di argento metallico che circondano il cristallo, per cui la soluzione nelle adiacenze del cristallo presto diventa supersatura d’argento, ma questo argento può depositarsi solo dove già esiste un nucleo ideoneo che corrisponde appunto agli atomi di argento del germe di sviluppo generato dall’esposizione alla luce. Quindi l’azione dei germi di sviluppo è limitata alla rimozione della supersaturazione.
Inoltre poiché con il progredire del passaggio dell’argento dalla zona supersatura al germe di sviluppo si genera sempre più argento che a sua volta ne richiama altro sempr dalla soluzione supersatura, si può pensare ad un’azione autocatalitica generata appunto dai germi di sviluppo creati dall’esposizone alla luce.
Questa teoria è stata ritenuta valida finché non è stato possibile osservare al microscopio elettronico i granuli di argento sviluppati e si è visto che essi hanno una struttura filiforme ed aggrovigliata, assomigliando più a della lana d’acciaio che ad un cristallo trasformato in argento e questa evidenza ha costretto a delle revisioni ed estensioni di questa teoria.
Teoria della carica superficiale
In questa teoria l’approccio è stato differente; anziché ragionare sul perché l’immagine latente produce un’immagine visibile grazie ad un agente riducente ci si è concentrati sul perché gli alogenuri di argento non esposti sono per la maggior parte non influenzati dallo sviluppo.
Questa teoria ipotizza l’esistenza di uno strato caricato elettricamente formato da ioni bromuro Br- che circonda ciascun granulo di alogenuro e lo isola dallo sviluppo per repulsione elettrica. In questo modo gli alogenuri non esposti non vengono sviluppati dato che non possono venire a contatto diretto con lo sviluppo stesso.
Nel granulo di bromuro d’argento colpito dalla luce invece il germe di sviluppo rappresenta un indebolimento nello strato di isolamento elettrico attraverso il quale si può aprire un passaggio a bassa energia per il trasferimento di elettroni (carica -) dal rivelatore agli ioni Ag+ che vengono ridotti ad argento metallico neutralizzando così la carica positiva che viene però ristabilita attraverso l’assorbimento degli altri ioni Ag+ presenti nel cristallo finché tutto l’argento presente nel cristallo non viene trasformato in argento metallico. Nel mentre gli ioni bromuro che sono presenti nel reticolo cristallino del bromuro di argento passano in soluzione nello sviluppo.
Questa teoria però non spiega come mai gli alogenuri d’argento non esposti non vangano sviluppati neanche da agenti rivelatori con carica neutra e positiva che quindi non verrebbero respinti dalla barriera elettrica negativa che circonda il cristallo e potrebbero venire a contatto diretto con la superficie del granulo.
Teoria dell’elettrodo.
Questa teoria parte dal presupposto che il trasferimento di elettroni dal rivelatore al cristallo può avvenire solo attraverso il germe di sviluppo, quindi gli unici granuli che possono essere sviluppati sono quelli che presentano un germe di sviluppo e cioè sono stati colpiti dalla luce.
Il germe di sviluppo ha la funzione di elettrodo che si esplica in due luoghi specifici; da una parte vi è una reazione anodica nell’interfaccia tra il germe di sviluppo e il liquido di sviluppo nella quale gli elettroni passano dallo sviluppo al germe di sviluppo. Dall’altra parte, nell’interfaccia tra il germe di sviluppo e la parte solida del cristallo, avviene invece una reazione catodica con l’accumularsi di ioni argento sul germe di sviluppo e la loro acquisizione di un elettrone.
La validità di questa teoria è supportata anche dalla possibilità di ottenere una forma di sviluppo anche eliminando i cristalli di bromuro di argento, ma non i germi di sviluppi (con un semplice fissaggio della pellicola esposta che scioglie il bromuro di argento ma non gli atomi di argento che compongono il germe di sviluppo) e fornendo poi ioni Ag+ direttamente dalla soluzione di sviluppo e non più dal cristallo (sviluppo fisico), confermando quindi l’azione di elettrodo nel trasferimento di elettroni da parte dei germi di sviluppo.
Le teorie qui riportate sono, a mia conoscenza, quelle ritenute più valide nel confermare le osservazioni sperimentali; nel tempo sono state ampliate e ridiscusse per cercare di spiegare alcune comportamenti, come le già citate sostanze riducenti a carica neutra o positive, oppure i meccanismi di superadditività o il ruolo, anche nell’azione attiva nella reazione di ossidoriduzione, di alcune sostanze non ritenute attive in questo senso.
Riuscire a conoscere nella sua interezza l’insieme di reazioni che avvengono nel momento dello sviluppo è un compito assai arduo, la serie di reazioni e sottoreazioni è estremamente complessa, articolata e annidata in più livelli interconnessi. Ancora non sono molto chiari i processi che innescano i prodotti di reazione con gli altri elementi chimici che compongono lo sviluppo, così come i prodotti di ossidazione che si vengono a formare e che tipo di equilibrio chimico si viene a ricreare dopo l’uso di una soluzione di sviluppo. Le modificazioni chimiche apportate dalle sottoreazioni durante lo sviluppo potrebbero avere effetti più pesanti di quelle dovute all’ossidazione con l’aria durante la conservazione. In effetti quindi uno sviluppo dopo che è stato usato di fatto è diventato un rivelatore diverso rispetto a quando era fresco (motivo per cui si consiglia l’uso delle soluzioni one-shot).
A solo titolo di esempio si prenda l’idrochinone, il cui ruolo di agente rivelatore attivo è stato ridimensionato da alcune teorie, relegandolo a ruolo di semplice “rigeneratore” dell’agente di sviluppo al quale è accoppiato in superadditività.
Oppure il ruolo del solfito di sodio, che pare vada molto più in là della semplice protezione contro l’ossidazione. Il solfito di sodio reagisce con l’ossigeno trasformandosi in solfato ed impedendo quindi l’ossidazione dell’agente rivelatore. Ma il solfato di sodio ha una azione indurente sulla gelatina, ritardando quindi lo sviluppo.
L’idrochinone in soluzione si ionizza, molto più se la soluzione è alcalina, ed è lo ione idrochinone il responsabile dello sviluppo e non tanto l’idrochinone in se stesso come molecola. Ma non è che lo ione idrochinone reagisce con il bromuro d’argento sviluppandolo, come si potrebbe credere. Lo ione idrochinone reagisce con il bromuro d’argento ossidandosi in un semi-chinone in forma di radicale libero che a sua volta reagisce col solfato di sodio prodotto dall’ossidazione del solfito e solo successivamente ri-reagisce con il bromuro d’argento riducendolo in argento metallico.
La forma ossidata dell’idrochinone è il chinone ma questo non si trova in quantità congrua durante la fase di sviluppo perché il processo di ossidazione durante lo sviluppo è più complesso, passando attraverso la formazione di idrochinone monosulfonato che è a sua volta è un agente di sviluppo che reagisce con il bromuro d’argento in parallelo all’idrochinone stesso, intervenendo quindi in maniera attiva allo sviluppo stesso, e ossidandosi però in idrochinone bisulfonato.
Il processo di ossidazione dell’idrochinone è uno dei più semplici, per cui è facile capire come tutta la dinamica di sviluppo è complessa e di difficile definizione.
Altra variabile è l’azione del solfito come agente di sviluppo fisico: lo sviluppo si dice chimico quando l’argento metallico che forma l’immagine proviene dal cristallo di bromuro, invece si dice fisico quando l’argento metallico proviene dalla soluzione e si deposita sul cristallo.
Il solfito di sodio è un blando solvente del bromuro di argento (invece scioglie molto più facilmente lo ioduro d’argento), per cui gli sviluppi con alto tenore di solfito tendono a disciogliere minimamente i cristalli di bromuro di argento, conferendo alla formulazione un comportamento finegranulante. Ma il parziale discioglimento dei cristalli di bromuro di argento comporta anche che la soluzione di sviluppo si arricchisca di argento in soluzione, che va a depositarsi, in via preferenziale, sui germi di sviluppo, contribuendo così allo “sviluppo fisico” dell’alogenuro esposto in argento (depositandosi però anche sulle superfici dei contenitori che si anneriscono, quindi adesso sapete cos’è la patina nera che sporca le bacinelle).
Le pellicole tabulari hanno una alta concentrazione relativa di ioduro d’argento e lo ione ioduro è un potentissimo ritardante per cui in questo contesto il solfito in alta concentrazione, liberando lo ione ioduro dal reticolo cristallino ha un’azione frenante sulle dinamiche di sviluppo.
Ancora, gli ioni bromuro che si liberano nella soluzione di sviluppo per l’azione del rivelatore agiscono come ritardatori (il bromuro è usato come antivelo appunto) e man mano che si accumulano nelle soluzioni di sviluppo le rendono meno attive. L’aggiunta di bromuro alla soluzione non è solo per la sua azione di antivelo ma anche per “tamponare” il bromuro rilasciato durante la reazione di sviluppo stabilizzando così il comportamento dello sviluppo (esempio: se durante lo sviluppo si crea 1 grammo di bromuro dalla reazione con l’argento, la quantità di ione bromuro sarà aumentata del 100%, con un certo impatto sulle prestazioni dello sviluppo. Se invece nella soluzione sono già presenti 10g di bromuro di potassio, l’aumento sarò solo del 10%, con un impatto molto più limitato).
È proprio questa interazione tra i vari componenti dello sviluppo che fa si che se si diluisce la soluzione di sviluppo se ne cambiano, in forma più o meno accentuata, le caratteristiche e il comportamento. A titolo di esempio, il D-76 stock ha 100g/l di solfito che ha un’azione solvente, quindi finegranulante, ma con grana fioccosa a causa della decomposizione dei bordi dei filamenti di argento che compongono la grana che causa una diversa dispersione della luce; il comportamento è lievemente compensatore sempre a causa dall’azione solvente del solfito che proporzionalmente agisce di più sulle aree più ricche di argento.
Diluito 1+1 il solfito si riduce a 50g/l per cui l’azione finegranulante si riduce visibilmente, come anche l’azione compensatrice, ma si ha un leggero aumento della acutanza a causa della formazione delle linee di Mackie. Diluito 1+3 il comportamento è ancora differente, il solfito in soluzione è molto basso per cui la grana è più evidente ma più netta, l’effetto compensatore aumenta, questa volta per sfruttamento (lo sviluppo molto diluito perde energia nelle alteluci molto più velocemente che nelle ombre) come anche l’acutanza dato che un rivelatore prossimo all’esaurimento porta alla creazione di linee di Mackie più marcate.
Ma ogni sviluppo si comporta in maniera diversa, dato che tutto dipende dalla formulazione e dagli equilibri interni degli elementi della formula stessa, anche in funzione del tipo di pellicola trattata, ed questo uno dei motivi per cui le generalizzazioni lasciano il tempo che trovano.
Il raddoppio del tempo di sviluppo al raddoppio della diluizione, le tabelle di variazione del tempo di sviluppo per compensare la temperatura, l’aumento del tempo di sviluppo all’aumentare dei rullini sviluppati sono tutti palliativi che funzionicchiano per la grande flessibilità del sistema fotografico ma ad andare a cercare (sapendo cosa cercare) le differenze ci sono e si vedono e a volte sono ben più visibili di altri fattori spesso ed erroneamente sovrastimati.
Scusate la prolissità, spero che chiunque ne sappia più di me contribuisca a correggere e migliorare questo post.