la Arbus...
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Re: la Arbus...
Aspettativa e realtà. Quello che ci aspettiamo di vedere a volte viene ampiamente disatteso. Mi sembra che in soldoni sia il messaggio di questa foto.
Il contesto:
Il titolo recita "gemelle identiche" (Identical Twins, Roselle, New Jersey, 1967) e venne scattata in occasione di un ritrovo di gemelli. Probabilmente c'era in palio anche un premio per la coppia che sembrava più incredibilmente identica. Una celebrazione degli scherzi della natura insomma. Correva l'anno 1967 e l'America aveva la guerra del Vietnam su un fronte, sull'altro era in piena guerra fredda e guardando in cielo, voleva conquistare anche lo spazio. Guardando a terra .. stava montando la necessità di ribellarsi alla società bigotta e guerrafondaia.
please.. continue..
Il contesto:
Il titolo recita "gemelle identiche" (Identical Twins, Roselle, New Jersey, 1967) e venne scattata in occasione di un ritrovo di gemelli. Probabilmente c'era in palio anche un premio per la coppia che sembrava più incredibilmente identica. Una celebrazione degli scherzi della natura insomma. Correva l'anno 1967 e l'America aveva la guerra del Vietnam su un fronte, sull'altro era in piena guerra fredda e guardando in cielo, voleva conquistare anche lo spazio. Guardando a terra .. stava montando la necessità di ribellarsi alla società bigotta e guerrafondaia.
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Re: la Arbus...
A guardar bene tutto sono tranne che identiche ...
pensando - offerte sconti
Re: la Arbus...
Non è che fossero diverse.... nella realtà erano proprio identiche, ma come sappiamo la fotografia non rappresenta la realtà ma quello che vuole comunicare il fotografo. La Arbus è stata veramennte geniale nel cercare nella realtà il "difetto"; anche in due gemelle omozigote.
Devo essere sincero. Non posso che apprezzare la genialità della Arbus e riconoscere che è una pietra miliare della fotografia... nel suo voler mettere in evidenza il grottesco, il distorto e la follia, le sue foto mi incutono una certa ansia ... d'altronde la Arbus si è suicidata... possiamo solo provare a immaginare il tormento interiore che aveva.
Ironia della sorte... mentre si pensava al nome del nuovo forum,mi era venuta proprio in mente la Arbus. Pensavo che poetica dei "grandi" non era un termine adatto, perchè le fotografie di una grande come la Arbus mi sembravano tutto tranne che "poetiche"...
Devo essere sincero. Non posso che apprezzare la genialità della Arbus e riconoscere che è una pietra miliare della fotografia... nel suo voler mettere in evidenza il grottesco, il distorto e la follia, le sue foto mi incutono una certa ansia ... d'altronde la Arbus si è suicidata... possiamo solo provare a immaginare il tormento interiore che aveva.
Ironia della sorte... mentre si pensava al nome del nuovo forum,mi era venuta proprio in mente la Arbus. Pensavo che poetica dei "grandi" non era un termine adatto, perchè le fotografie di una grande come la Arbus mi sembravano tutto tranne che "poetiche"...
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Re: la Arbus...
Ciao Isos...
Tocchi una nota dolente. Secondo te è corretto guardare quelle immagini alla luce delle scelte di vita che la Arbus ha fatto dopo?
O detta in altri termini, uno che abbia visto quelle immagini prima della tragica fine dell'autrice dopo di essa dovrebbe cambiare opinione in proposito?
Tocchi una nota dolente. Secondo te è corretto guardare quelle immagini alla luce delle scelte di vita che la Arbus ha fatto dopo?
O detta in altri termini, uno che abbia visto quelle immagini prima della tragica fine dell'autrice dopo di essa dovrebbe cambiare opinione in proposito?
Re: la Arbus...
a me le sue immagini creano un certo stato d'animo... non saprei descriverlo... a prescindere dalla sua storia. Però la sua storia mi fa pensare alla capacità che ha avuto di trasmettere con delle foto un suo modo di vedere il mondo.. capacità che hanno solo artisti del suo spessore...Silverprint ha scritto:Ciao Isos...
Tocchi una nota dolente. Secondo te è corretto guardare quelle immagini alla luce delle scelte di vita che la Arbus ha fatto dopo?
O detta in altri termini, uno che abbia visto quelle immagini prima della tragica fine dell'autrice dopo di essa dovrebbe cambiare opinione in proposito?
rispondendo alla tua domanda. Non cambio opinione sul suo lavoro... ho scoperto dopo la sua storia... ma adesso che la so, non posso fare a meno di legare la sua vita personale con il perchè del suo lavoro...
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Re: la Arbus...
Infatti la questione è annosa.
Tempo fa scrissi una nota in proposito.
"... Marcel Duchamp, il più noto dadaista, diceva che la vita è arte e l’arte è vita. È una bella frase ad effetto e di successo, ma io non sono affatto d'accordo. L’arte non è affatto necessaria per la vita umana, milioni di persone vivono (senza problemi, forse perfino felici!) nel più completo disinteresse per ogni forma d’arte. Il fatto, poi, che alcuni individui trovino la propria personale identità nella produzione di manufatti grandiosamente inutili, o che pochi altri in essi trovino motivo d’interesse non mi pare possa giustificare in alcun modo una tale espressione. E non basta, trovo che questa fissazione per appiccicare arte e vita, così come capita, senza un qualche ragionamento serio, sia una pratica detestabile e purtroppo un vizio assai comune, un ovvietà ormai. Cosa ci trovo di detestabile? Ci trovo un implicita negazione della possibilità che l'arte possa essere rappresentazione e non (necessariamente ed inevitabilmente) solo una narcisistica rappresentazione del sé.
Però ad essere meno grossolani e forse anche un po' più indulgenti, l'errore è nella ricerca di un nesso banale, facilone, tra l'opera e l'esperienza vissuta dall’artista, perché bisogna pur dire che un nesso ci potrebbe-dovrebbe anche essere. Ed allo stesso tempo non si può non dire, se si vuole essere un poco seri, che questo nesso, se c’è, è una cosa difficilissima da evidenziare. Ed è difficilissimo anche perché, ma questo è ancora più sottile, ci si deve liberare totalmente sia della stupida pretesa che tra esperienza di vita ed opera ci sia anche necessariamente una qualche sincronia temporale (faccio un quadro triste adesso perché adesso sono triste, etc.), sia che un autore debba per forza rappresentare qualche cosa in cui si è realmente imbattuto.
Se così fosse avremmo ridotto le possibilità della fantasia creativa alla sola rielaborazione, seppur trasformativa, del vissuto reale. Io ritengo sia inaccettabile perché è una negazione delle possibilità creative.
Troppo complicato? Faccio qualche esempio: se l'arte fosse solamente ed inevitabilmente rappresentazione del sé cosa dovremmo pensare vedendo il Macbeth, che il povero Shakespeare fosse un paranoico? E con l'Otello? Che fosse un uomo roso dalla gelosia? E poi che facciamo se ci imbattiamo nel Sogno di una notte di mezza estate? Pensiamo che sia solo un fiabesco burlone? Oppure, cito il caso di un famoso polpettone americano Lust for life (1956, in Italia: Brama di vivere) quel brutto film di Vincente Minelli sulla vita di Vincent Van Gogh che trasforma un sopraffino ricercatore (basti leggere qualche lettera di Vincent al fratello Theo sui colori) in un povero folle travolto dagli eventi della vita. Ci ha aiutati a capire qualche cosa di interessante o è solo un coacervo di stereotipi banali?
Ci fu anche un film italiano di questo tipo su Antonio Ligabue, Ligabue (1977, sceneggiatura di C. Zavattini, regia di S. Nocita), un film emozionante che ho visto da bambino, ma mi ricordo ancora il disappunto... io vedevo solo l’incompreso e la sua magnifica arte, avrei solo voluto vederlo dipingere, il resto non volevo saperlo.
L'ultima in ordine di tempo (fotografia finalmente!) quello stupido libro e quella mostra (in tour mondiale!), e poi pure Fur il film su Diane Arbus in cui si cerca continuamente ed insistentemente un nesso (banale) tra vita dell'autrice e immagini. Ci illude di capirle, ne da una chiave che sembra plausibile, ci avvicina alla persona, ma mi sa proprio che delle foto ci fa capire molto poco.
Insomma, questo “metodo” non funziona proprio. Forse l’errore è che se si accetta passivamente questa abitudine si sposta l'attenzione dall'opera all'autore e si finisce a non capire niente né dell'una, né dell'altro.
E c’è di più, c’è questo ricatto, questo odioso tentativo di sottrarre libertà interpretativa all’osservatore: se si accetta l’idea che l’arte è (solamente ed ineluttabilmente) una rappresentazione del sé solo coloro che conoscono i fatti della vita dell’autore possono accedere al “giusto” significato delle opere. E non si può non dire a questo punto che questo ricatto diventa molto pesante allorquando la vita di un certo autore ha connotati tragici. Citavo poco fa il caso di Diane Arbus ed in proposito mi chiedo se si possa esser sicuri che guardare le sue immagini sotto la luce incombente del suo suicidio sia una efficace chiave di lettura o se invece questa conoscenza ci costringa ad un macabro voyeurismo, ci costringa cioè a cercare nelle sue immagini i segni della futura tragedia.
Non è un problema di poco conto. Se da una parte la conoscenza di certi fatti ci può dare una (illusoria) sicurezza interpretativa, dall’altra ci costringe ad interpretare le opere sotto una certa determinata luce. A me pare una condizione inaccettabile. Inaccettabile perché se accettata le chiavi interpretative finirebbero per non dipendere dall’opera stessa o dal nostro vissuto di essa, anzi, da questi “dovrebbero” prescindere completamente, ed io trovo che così procedendo si cade in un errore metodologico. Errore metodologico perché si interpreta un opera solo cercando in essa tracce di qualcosa ad essa non necessariamente correlata..."
Tempo fa scrissi una nota in proposito.
"... Marcel Duchamp, il più noto dadaista, diceva che la vita è arte e l’arte è vita. È una bella frase ad effetto e di successo, ma io non sono affatto d'accordo. L’arte non è affatto necessaria per la vita umana, milioni di persone vivono (senza problemi, forse perfino felici!) nel più completo disinteresse per ogni forma d’arte. Il fatto, poi, che alcuni individui trovino la propria personale identità nella produzione di manufatti grandiosamente inutili, o che pochi altri in essi trovino motivo d’interesse non mi pare possa giustificare in alcun modo una tale espressione. E non basta, trovo che questa fissazione per appiccicare arte e vita, così come capita, senza un qualche ragionamento serio, sia una pratica detestabile e purtroppo un vizio assai comune, un ovvietà ormai. Cosa ci trovo di detestabile? Ci trovo un implicita negazione della possibilità che l'arte possa essere rappresentazione e non (necessariamente ed inevitabilmente) solo una narcisistica rappresentazione del sé.
Però ad essere meno grossolani e forse anche un po' più indulgenti, l'errore è nella ricerca di un nesso banale, facilone, tra l'opera e l'esperienza vissuta dall’artista, perché bisogna pur dire che un nesso ci potrebbe-dovrebbe anche essere. Ed allo stesso tempo non si può non dire, se si vuole essere un poco seri, che questo nesso, se c’è, è una cosa difficilissima da evidenziare. Ed è difficilissimo anche perché, ma questo è ancora più sottile, ci si deve liberare totalmente sia della stupida pretesa che tra esperienza di vita ed opera ci sia anche necessariamente una qualche sincronia temporale (faccio un quadro triste adesso perché adesso sono triste, etc.), sia che un autore debba per forza rappresentare qualche cosa in cui si è realmente imbattuto.
Se così fosse avremmo ridotto le possibilità della fantasia creativa alla sola rielaborazione, seppur trasformativa, del vissuto reale. Io ritengo sia inaccettabile perché è una negazione delle possibilità creative.
Troppo complicato? Faccio qualche esempio: se l'arte fosse solamente ed inevitabilmente rappresentazione del sé cosa dovremmo pensare vedendo il Macbeth, che il povero Shakespeare fosse un paranoico? E con l'Otello? Che fosse un uomo roso dalla gelosia? E poi che facciamo se ci imbattiamo nel Sogno di una notte di mezza estate? Pensiamo che sia solo un fiabesco burlone? Oppure, cito il caso di un famoso polpettone americano Lust for life (1956, in Italia: Brama di vivere) quel brutto film di Vincente Minelli sulla vita di Vincent Van Gogh che trasforma un sopraffino ricercatore (basti leggere qualche lettera di Vincent al fratello Theo sui colori) in un povero folle travolto dagli eventi della vita. Ci ha aiutati a capire qualche cosa di interessante o è solo un coacervo di stereotipi banali?
Ci fu anche un film italiano di questo tipo su Antonio Ligabue, Ligabue (1977, sceneggiatura di C. Zavattini, regia di S. Nocita), un film emozionante che ho visto da bambino, ma mi ricordo ancora il disappunto... io vedevo solo l’incompreso e la sua magnifica arte, avrei solo voluto vederlo dipingere, il resto non volevo saperlo.
L'ultima in ordine di tempo (fotografia finalmente!) quello stupido libro e quella mostra (in tour mondiale!), e poi pure Fur il film su Diane Arbus in cui si cerca continuamente ed insistentemente un nesso (banale) tra vita dell'autrice e immagini. Ci illude di capirle, ne da una chiave che sembra plausibile, ci avvicina alla persona, ma mi sa proprio che delle foto ci fa capire molto poco.
Insomma, questo “metodo” non funziona proprio. Forse l’errore è che se si accetta passivamente questa abitudine si sposta l'attenzione dall'opera all'autore e si finisce a non capire niente né dell'una, né dell'altro.
E c’è di più, c’è questo ricatto, questo odioso tentativo di sottrarre libertà interpretativa all’osservatore: se si accetta l’idea che l’arte è (solamente ed ineluttabilmente) una rappresentazione del sé solo coloro che conoscono i fatti della vita dell’autore possono accedere al “giusto” significato delle opere. E non si può non dire a questo punto che questo ricatto diventa molto pesante allorquando la vita di un certo autore ha connotati tragici. Citavo poco fa il caso di Diane Arbus ed in proposito mi chiedo se si possa esser sicuri che guardare le sue immagini sotto la luce incombente del suo suicidio sia una efficace chiave di lettura o se invece questa conoscenza ci costringa ad un macabro voyeurismo, ci costringa cioè a cercare nelle sue immagini i segni della futura tragedia.
Non è un problema di poco conto. Se da una parte la conoscenza di certi fatti ci può dare una (illusoria) sicurezza interpretativa, dall’altra ci costringe ad interpretare le opere sotto una certa determinata luce. A me pare una condizione inaccettabile. Inaccettabile perché se accettata le chiavi interpretative finirebbero per non dipendere dall’opera stessa o dal nostro vissuto di essa, anzi, da questi “dovrebbero” prescindere completamente, ed io trovo che così procedendo si cade in un errore metodologico. Errore metodologico perché si interpreta un opera solo cercando in essa tracce di qualcosa ad essa non necessariamente correlata..."
Re: la Arbus...
E infatti le opere d'arte di ogni tipo "significano" cose diverse nelle diverse epoche alle quali arrivano, del tutto indipendentemente dall'intenzione originaria degli autori che le hanno scritte, dipinte, scolpite, fotografate. Molte volte non sappiamo neanche il nome degli autori, o dietro il nome si nasconde un mistero insondabile (es. Omero).
Il fatto di essere ambigue e portatrici di molti potenziali significati che suscitano cose diverse in tempi o luoghi diversi è connaturato alle opere d'arte.
Il fatto di essere ambigue e portatrici di molti potenziali significati che suscitano cose diverse in tempi o luoghi diversi è connaturato alle opere d'arte.
Re: la Arbus...
Due cosette le metto anch'io.
Premetto di essere più che d'accordo con Andrea: credo fermamente nella separazione tra vita ed Opera di un artista; evito di ripetermi perchè già scrissi qualcosa a riguardo, nella discussione sulle 'Trasparenze'.
Allo stesso tempo mi rendo conto che in questa occasione sarà inevitabile, purtroppo o per fortuna, la commistione tra biografie ed immagini d'autore; altrimenti finiamo per non seguire le linee guida del forum.
Contribuisco con un pò di pensieri a ruota libera, tento un'analisi di getto perciò saranno sicuramente slegati tra loro..
Vado controcorrente. Non amo particolarmente Diane Arbus. Per me era una collezionista di mostri. Niente più.
E' una Fotografia, la sua, che, al netto delle abusate giustificazioni biografiche, orbita prevalentemente attorno all'estetica impattante del soggetto. E questo è un fatto. Lapalisse.
Anche volendo scavalcare le apparenze, avventurandosi in un'analisi concettuale - purché legata all'opera, altrimenti si rischia di andare col vento -, credo che difficilmente riusciremmo ad alleggerirci e volare in alto: sono immagini zavorrate, che lasciano spazio a letture preconfezionate e prevedibili.
Dare adito ad interpretazioni personali, con le loro molteplici sfumature di significato, rischia di trasformare la simmetria (asimmetrica) delle gemelle nell'ennesima macchia di rorschach.
Fossi abile nella scrittura come la Sontag vi renderei più facilmente partecipi del mio pensiero, che trovo abbastanza in linea con quello della scrittrice.
Definirei questa/e fotografie un'asettica vetrina di uomini straordinari, (ap)punto.
Nonostante lo stile della Arbus sia poco formale, anzi Lei faccia di tutto affinché i suoi modelli ci paiano ancor meno fotogenici di quanto già non sono, trovo i suoi scatti pervasi da un' esasperante invadenza fotografica.
A. è incuriosita da questo strano mondo, che la ossessiona al punto di fotografarlo maniacalmente, trascinandola/ci in un safari fotografico, a bordo di un lussuoso fuoristrada, in cui la trasgressione - laddove ve ne fosse - è propria dei soggetti, non dell'atto di fotografarli.
Tant'è che percepisco un certo distacco - voluto, non voluto? non lo so - che sottolinea proprio questa distanza tra l'artista e i suoi "mostri".
Li ritrae in pose forzatissime, in un certo qual modo ricercate, e perciò incoerenti con quello stesso distacco.
E magari è in questa sottile contraddizione che andrebbe cercata la chiave di lettura di queste fotografie, boh...!
Detto questo, credo anche in quel proverbio che dice... com'è che recita? Chi sa fa, chi non fa critica! Ecco...

Premetto di essere più che d'accordo con Andrea: credo fermamente nella separazione tra vita ed Opera di un artista; evito di ripetermi perchè già scrissi qualcosa a riguardo, nella discussione sulle 'Trasparenze'.
Allo stesso tempo mi rendo conto che in questa occasione sarà inevitabile, purtroppo o per fortuna, la commistione tra biografie ed immagini d'autore; altrimenti finiamo per non seguire le linee guida del forum.
Contribuisco con un pò di pensieri a ruota libera, tento un'analisi di getto perciò saranno sicuramente slegati tra loro..
Vado controcorrente. Non amo particolarmente Diane Arbus. Per me era una collezionista di mostri. Niente più.
E' una Fotografia, la sua, che, al netto delle abusate giustificazioni biografiche, orbita prevalentemente attorno all'estetica impattante del soggetto. E questo è un fatto. Lapalisse.
Anche volendo scavalcare le apparenze, avventurandosi in un'analisi concettuale - purché legata all'opera, altrimenti si rischia di andare col vento -, credo che difficilmente riusciremmo ad alleggerirci e volare in alto: sono immagini zavorrate, che lasciano spazio a letture preconfezionate e prevedibili.
Dare adito ad interpretazioni personali, con le loro molteplici sfumature di significato, rischia di trasformare la simmetria (asimmetrica) delle gemelle nell'ennesima macchia di rorschach.
Fossi abile nella scrittura come la Sontag vi renderei più facilmente partecipi del mio pensiero, che trovo abbastanza in linea con quello della scrittrice.
Definirei questa/e fotografie un'asettica vetrina di uomini straordinari, (ap)punto.
Nonostante lo stile della Arbus sia poco formale, anzi Lei faccia di tutto affinché i suoi modelli ci paiano ancor meno fotogenici di quanto già non sono, trovo i suoi scatti pervasi da un' esasperante invadenza fotografica.
A. è incuriosita da questo strano mondo, che la ossessiona al punto di fotografarlo maniacalmente, trascinandola/ci in un safari fotografico, a bordo di un lussuoso fuoristrada, in cui la trasgressione - laddove ve ne fosse - è propria dei soggetti, non dell'atto di fotografarli.
Tant'è che percepisco un certo distacco - voluto, non voluto? non lo so - che sottolinea proprio questa distanza tra l'artista e i suoi "mostri".
Li ritrae in pose forzatissime, in un certo qual modo ricercate, e perciò incoerenti con quello stesso distacco.
E magari è in questa sottile contraddizione che andrebbe cercata la chiave di lettura di queste fotografie, boh...!
Detto questo, credo anche in quel proverbio che dice... com'è che recita? Chi sa fa, chi non fa critica! Ecco...


Enrico
Re: la Arbus...
Buongiorno,
Mi trovo pienamente d'accordo con la nota di Andrea, ma questo mi succede spesso e quindi non mi stupisce, meno con con DDS quando definisce la Arbus una collezionista di mostri, anche se non è una fotografa che amo particolarmente.
Io che preferisco l'imperfetto alla perfezione posso ben capire il suo desiderio di documentare un'umanità diversa, ancor di più se si pensa all'america degli anni '60 in cui si muoveva, non vorrei anche che si basasse tutto su una singola foto e riporto un link in cui vedere alcune sue immagini per chi voglia approfondire.
http://diane-arbus-photography.com/
Mi trovo pienamente d'accordo con la nota di Andrea, ma questo mi succede spesso e quindi non mi stupisce, meno con con DDS quando definisce la Arbus una collezionista di mostri, anche se non è una fotografa che amo particolarmente.
Io che preferisco l'imperfetto alla perfezione posso ben capire il suo desiderio di documentare un'umanità diversa, ancor di più se si pensa all'america degli anni '60 in cui si muoveva, non vorrei anche che si basasse tutto su una singola foto e riporto un link in cui vedere alcune sue immagini per chi voglia approfondire.
http://diane-arbus-photography.com/
Re: la Arbus...
Esco dalla Arbus (che assolutamente non "amo", ma che rispetto, non perchè altri dicano appartenga al gotha dei fotografi, ma perchè reputo interessante per il suo sforzo di entrare non in punta di piedi in un ambiente, e qui mi riferisco al periodo cosiddetto dei freak, per farsi pienamente coinvolgere) per soffermarmi un attimo su un paragrafo scritto da Andrea (@Silverprint):
"Se così fosse avremmo ridotto le possibilità della fantasia creativa alla sola rielaborazione, seppur trasformativa, del vissuto reale. Io ritengo sia inaccettabile perché è una negazione delle possibilità creative."
Lungi da me da possedere verità, ma la frase mi ha, scusate il termine grezzo: basito.
Trovo infatti che non ci sia nulla più di stra-ordinario, della vita vissuta da ognuno di noi. Nel suo tran-tran quotidiano. E' proprio di chi ha la sensibilità artistica (nelle arti visive o musicali o letterarie) rielaborare il proprio vissuto per interpretare la realtà con occhi nuovi, diversi. La creatività è appunto questa. Non è fantasy o fantascienza. Forse si dovrebbe leggere più poesia.
con stima e affetto..
"Se così fosse avremmo ridotto le possibilità della fantasia creativa alla sola rielaborazione, seppur trasformativa, del vissuto reale. Io ritengo sia inaccettabile perché è una negazione delle possibilità creative."
Lungi da me da possedere verità, ma la frase mi ha, scusate il termine grezzo: basito.
Trovo infatti che non ci sia nulla più di stra-ordinario, della vita vissuta da ognuno di noi. Nel suo tran-tran quotidiano. E' proprio di chi ha la sensibilità artistica (nelle arti visive o musicali o letterarie) rielaborare il proprio vissuto per interpretare la realtà con occhi nuovi, diversi. La creatività è appunto questa. Non è fantasy o fantascienza. Forse si dovrebbe leggere più poesia.
con stima e affetto..


