Perché scattate se non avete niente da dire?

Discussioni sull'etica e sulla filosofia applicata alla fotografia

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guerié
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da guerié »

è il solito discorso cencio parla male di straccio...
A dice di B :"senti B quanto chiacchera che ha ingoiato le puntine del grammofono ?!"
B dice di A:" A non lo sopporto proprio sembra una radio accesa sarà mezzora che parla e poi stringi stringi non di dice nulla..."
e qui poi non è nulla poi c'è solo chi parla per criticare (e qui mi ci metto anche io).
Penso che sia natura chi è più sicuro di se e disinvolto pubblica di più anche cagate, chi è più riservato pubblica di meno anche cagate....


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Walter
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da Walter »

Beh...... stessa domanda si potrebbe fare si blogger: siete sicuri di aver qualcosa di utile da dire?

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Emerson
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da Emerson »

Complice la giornata uggiosa di un pomeriggio di Sabato mi sono preso la briga di ricopiare un paio di pagine da un libro di Tiziano Terzani dove l’autore parla al figlio del suo rapporto con la fotografia e con i fotografi. Quando lo lessi mi piacque molto e lo allego nel seguito.


Estratto da “La fine è il mio inizio” di Tiziano Terzani - Longanesi


TIZIANO: Io e le mie macchine fotografiche: oggi volevo parlare di questo.
Come ti dicevo Folco, in casa mia a Firenze non c’era la radio, il telefono, non c’erano libri; per cui ti immagini se c’era una macchina fotografica! Credo che anche al liceo e all’università non ne ho mai avuta una.
La prima macchina fotografica che ricordo-perché aveva anche un significato comprarla-fu una meravigliosa rolleiflex nuova che pagai un sacco di soldi. La comprai quando seppi che andavo in Sudafrica. Ero deciso a scrivere sull’apartheid e volevo anche documentarlo. Così comprai quella macchina fotografica stupenda, una cassetta che ti metti sulla pancia e ci guardi dentro dall’alto. Proprio il contrario di quel che ci vuole per il giornalismo perché fa rumore, è difficile da mettere a fuoco e così via, però con quella feci le mie prime foto, foto che avevano la pretesa di raccontare una storia.
Comprai quella macchina perché avevo la sensazione che scrivere non bastava. E poi le foto mi servivano come una sorta di taccuino, per aggiungere dei dettagli, per vedere quello che in quel momento non avrei notato. Con quella macchina ho viaggiato negli anni dell’Olivetti. Poi quando andai in Vietnam, mi attrezzai con le macchine che a quel tempo erano di moda, una Nikon e una Nikkormat con lo zoom. Pesanti erano, ma io avevo una borsa in cui le mettevo e che mi portavo sempre dietro.
E’ importante capire che io non mi sono mai sentito fotografo. Anzi, a parte alcuni grandi che ho rispettato, come Philip Jones Griffiths, Abbas e pochi altri, in Vietnam in particolare imparai a disprezzare i fotografi. Erano dei rompicoglioni. Non mi sono mai piaciuti perché, quando te li trovavi attorno in una storia, i fotografi avevano sempre delle esigenze che non erano le tue.
Il mio gioco era di essere un camaleonte, di non essere appariscente, di stare da una parte a guardare. Il gioco del fotografo invece - e l’epitome di oggi è Dieter Ludwig che dà gomitate e botte pur di posizionarsi bene - è di piazzarsi in faccia alla gente, di mettersi nel mezzo. Tu parli con un contadino, con difficoltà cerchi di farti raccontare quello che è successo durante un attacco, un bombardamento, arriva il fotografo che se ne fotte di quello che il tipo ha da raccontare. Lui vuole che la faccia del contadino sia davanti alle macerie con la luce così.
Questa è anche una delle ragioni per le quali - nonostante che Der Spiegel ogni tanto volesse mandarmi un fotografo da Amburgo per certe grandi storie che facevo - in tutti gli anni del mio lavoro con il giornale io non ho mai lavorato con un fotografo. Facevo le fotografie con cui corredavo i miei pezzi e che corrispondevano a quello che scrivevo.
In Vietnam avevo anche una ragione per invidiare i fotografi. Tu immagina come coprivamo questa guerra strana! Si partiva la mattina con il taxi, si andava al fronte, si stava via sei, sette ore; poi, verso il tramonto si tornava in albergo. Quei puzzoni andavano in camera facevano la doccia poi - via al bar a bere e chiacchierare. Il loro lavoro era finito.
Il mio invece cominciava: avevo ancora da scrivere il pezzo. Tutto quello che avevo visto e sentito, se non lo scrivevo era come se non lo avessi vissuto. Invece i fotografi avevano già finito. Prendevano il rotolino, lo mandavano con un “piccione” all’aeroporto, lo facevano partire per Hong Kong o Singapore , e tu saluto.
FOLCO: Non lo sviluppavano nemmeno?
TIZIANO: No, non sviluppavano. Puoi capire che questi fotografi a me proprio non mi piacevano per nulla.
In qualche modo la mia vita è cambiata il 30 Aprile del 1975, perché il giorno prima - quando gli americani scappavano dai tetti delle case di Saigon con gli elicotteri che li erano venuti a salvare - un bravo ladro vietnamita rubò a uno di questi una Leica M3. Io incontrai quel ladro al mercatino di Saigon qualche giorno dopo e ricomprai quella macchina stupenda, semplicissima, per cento dollari.
E’ stata la macchina della mia vita. Da allora ho sempre lavorato con quella. E’ stata la macchina che mi ha accompagnato dappertutto: in Cina, in Giappone, in Cambogia, a Sakhalin, nell’Unione Sovietica.
Il bello della M3, una macchina inventata dai tedeschi, è che è facilissima da ricaricare, cosa importantissima. I fotografi la usavano già durante la guerra in Corea perché tu la tieni legata al collo, la giri, la apri, ci metti dentro il rotolino,la richiudi e - trum-pum! è bell’e pronta.E’ facile da usare. Una volta che hai messo il tempo, scegli l’apertura, bianco e nero, 400 asa, e fai le foto. Non c’è verso di sbagliare. Poi, una cosa quasi di tipo erotico insomma, questa macchina quando la metti, per esempio, a 125 di secondo e scatti, fa un “cloc-cloc” che è una gioia sentire.
FOLCO: Ce l’hai ancora quella macchina?
TIZIANO: Certo. L’ho fatta ripulire, l’ho fatta rimettere i asse perché, sai, è vecchia, è una macchina che ha cinquant’anni ora. Ma è ancora una delle migliori macchine e continua a funzionare stupendamente.
Però, ripeto, per me la fotografia non era un modo di esprimermi. Io facevo le foto per accompagnare i miei articoli. E poi le facevo per me, perché mi davano qualcosa in più di quel che avevo visto. Sai, tu guardi una scena e vedi in quella scena dieci particolari, ma la foto ne vede quaranta. Quando guardi la foto che hai fatto ti torna in mente tutto. Io poi sono uno che lavora molto di suggestione. Quando scrissi Giai Phong per esempio, in questa casa dell’Orsigna, fuori c’era il ferragosto, c’era il palo della cuccagna in paese, ballavano in piazza - e io dovevo scrivere il libro sulla caduta di Saigon? Erano due mondi! Allora lo scrissi ascoltando tutto il tempo una cassetta che suonava la canzone Giai Phong, Giai Phong che avevo sentito dalla mattina alla sera durante i miei tre mesi in Vietnam. E così come la musica mi riportava nell’atmosfera di quei giorni, mi ci riportavano anche le foto. Feci stampare una serie di quelle che avevo fatto a Saigon e le attaccai tutto attorno alla mia scrivania. Rivedevo così i posti e le persone e questo mi aiutava a scrivere.
Io le foto le ho sempre usate così.
FOLCO: Ma a volte viaggiavi con un fotografo no?
TIZIANO: Alcune volte mi sono portato dietro un amico per fargli un piacere, ma era sempre una terribile delusione e c’erano sempre tensioni.
Ho viaggiato anche con bravi fotografi. Dico, Dieter Ludwig è un bravo fotografo. Una volta eravamo assieme in Sri Lanka e abbiamo sentito un grande scoppio nel mezzo del pomeriggio. Io avevo addosso il mio sarong e scrivevo, prendevo appunti, non mi ricordo, quando sentiamo questo scoppio e corriamo per andare a vedere cos’è successo. Arriviamo nella piazza in cui ci sono già sette o otto poliziotti. Dieter li fotografa senza testa, cioè fotografa solo le loro gambe e fra quelle si vede il torso, senza gambe, del kamikaze delle Tigri tamil che si è appena fatto saltare in aria. Quella era…bè, una bella foto, un bel contrasto insomma. Dieter è uno che ci vede, che sa vedere, e questa è una qualità dei grandi fotografi.
Io non ho mai preteso di avere questo tipo di immaginazione. Però, a forza di scattare….Sai la fotografia è anche questo; ne scatti cento e alla fine ce n’è sempre una che è buona.
FOLCO: L’esplosione delle tue foto avviene in Cina. Ho visto guardando in quei tuoi scatoloni che hai fatto tante più foto lì che in tutti gli altri paese.
TIZIANO: Sai, non era mai stata fotografata quella Cina. Questa è la cosa che ci ha colpito arrivando. Vedevamo cose di cui sapevamo che non erano state viste da tanto tempo. La mamma lo descrive con un’immagine stupenda: era come aprire una tomba egizia, un sarcofago. Per un attimo vedi la mummia. Poi l’aria fresca la riduce in polvere e rimane solo un pulviscolo d’oro.
Questa era la sensazione che avevamo in Cina.
Io ci sono arrivato nel 1979, in un giorno e una notte di sferragliamenti del vecchio treno che mi portava a Pechino. Voglio dire, era unico! Sapevo di essere uno dei primi stranieri a rivedere quel mondo. Per cui, anche il fumo che usciva, non da un camino ma dalle lastre di pietra che coprivano le case dei contadini, mi affascinava, lo fotografavo!
Sentivo che era una cosa che io avevo il grande privilegio di vedere.
Si arrivava in un paese di cui si scopriva che la gente andava in bicicletta, tutte cose oggi banali, ma per noi, allora, non lo erano. Fiumane di biciclette per le strade; tutti vestiti uguali; questi vecchi palazzi e questa antica Storia che, pur distrutta, dappertutto sbucava fuori dalla terra. Quando viaggi e ti trovi nei campi sterminati dello Henan e vedi quelle grandi statue in pietra che spuntano dalla terra, statue che sono lì magari da un millennio e mezzo, magari anche di più, fin dai tempi dell’imperatore Qin Shi Huangdi, hai voglia di descrivere tutto! Sono cose indescrivibili. La fotografia era allora, come dire, un’esigenza. Per questo in Cina ho fotografato tanto.
Dopo, quando sono arrivato in Giappone, non avevo quella sensazione di fare una cosa storica. A Tokyo, cosa vuoi fotografare? C’erano passati i più grandi fotografi del mondo e c’erano lì di stanza i più grandi fotografi del mondo. E io mi mettevo a fare concorrenza a questi qui? Sai quanti begli ubriachi sono stati fatti dai fotografi? Allora l’ho fatto anch’io, l’ubriaco della metropolitana di Tokyo, ma non era la Storia. Che storia era un ubriaco? Sì, una società di lavoratori stanchi. Ma non mi ispirava questo.
FOLCO: Non sarai stato fotografo, però hai fatto montagne di foto.
TIZIANO: Sì, è un capitale. Ci sono trent’anni di fotografie in bianco e nero di un mondo che non esiste più. Ti immagini la Cina che ho visto io nei primi anni? Il Vietnam, il Mustang, tutto quello che vuoi. E poi mi piaceva l’idea di mettermici a lavorare. Però è un lavoro cane. Ci perdi la testa a selezionare centinaia e centinaia di foto, per cui io non l’ho ancora fatto. Forse, se ne hai voglia, un giorno lo puoi fare tu.

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=Gibo=
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Re: R: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da =Gibo= »

bafman ha scritto:Gibo... forse... o magari marketing-blogging?
eh, ho paura che il succo del discorso sia proprio quello..

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isos1977
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da isos1977 »

bafman ha scritto:Gibo... forse... o magari marketing-blogging?
Il titolo decisamente si. Anche se il tenore e i contenuti dell'articolo sono molti diversi.

Ho lasciato il titolo per incuriosire un po'. Purtroppo molte risposte sembrano fermarsi al titolo :(
Emerson ha scritto: FOLCO: Non sarai stato fotografo, però hai fatto montagne di foto.
TIZIANO: Sì, è un capitale. Ci sono trent’anni di fotografie in bianco e nero di un mondo che non esiste più. Ti immagini la Cina che ho visto io nei primi anni? Il Vietnam, il Mustang, tutto quello che vuoi. E poi mi piaceva l’idea di mettermici a lavorare. Però è un lavoro cane. Ci perdi la testa a selezionare centinaia e centinaia di foto, per cui io non l’ho ancora fatto. Forse, se ne hai voglia, un giorno lo puoi fare tu.
I figli di Terzani alla fine quel lavoro cane l'hanno fatto e ne è venuto fuori un bel libro http://www.longanesi.it/scheda.asp?edit ... libro=7020
D'altronde Terzani di cose da dire ne ha sempre avute parecchie ;-)
"Se il fotografo non vede, la macchina fotografica non lo farà per lui" - Kenro Izu

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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da Elmar Lang »

Magari, un comune mortale, non necessariamente scatta perché ha qualcosa da dire, ma perché vuole avere il ricordo qualcosa che ha visto.

La fotografia è anche la conservazione di alcuni dei nostri sguardi.

E.L.
"Evitate il tono troppo aspro e duro, usato dalla maggior parte di coloro che debbono nascondere la loro scarsa capacità".
(Erwin Rommel)

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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da areabis »

Io non scatto sempre per lo stesso motivo .... Chi lo fa? A volte scatto per ricordo, a volte scatto perché voglio rafforzare un concetto che vorrei esprimere, a volte scatto perché quel che vedo mi piace, a volte perché mi incuriosisce a volte solo perché voglio ricordarmelo .... Insomma io scatto per un sacco di motivi e a volte condivido anche quello che ho scattato .... A volte piacciono a volte no ma penso che in fondo lo faccio solo per descrivere la mia vita i miei ricordi le mie sensazione i miei sentimenti .... E non è detto che piacciono a tutti, del resto non Posso piacere a tutti. Non ho mai fatto una mostra non ho mai venduto una foto (le ho solo regalate) non sarò mai un fotografo professionista e non diventerò mai famoso per le mie foto .... Ma non smetterò mai di fotografare.

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Domenico
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da Domenico »

L'autrice centra un concetto molto interessante: la differenza tra un produttore di immagini ed un fotografo.
Io sono un produttore di immagini. Non ho MAI niente da dire. Scatto perché mi piacciono le macchine fotografiche, per avere una scusa per chiudermi in camera oscura, per avere qualcosa da fare quando sono in vacanza, per appendermi una stampa alla parete, per avere un "like" su flickr (mi sono cancellato da fb, quindi non mi rimane che quello).
Tutto lecito, tutto giusto.
I fotografi li vado a guardare alle mostre.
Ciao

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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da mont19 »

Io me lo chiedo ogni giorno... perché scatti delle foto?
Sinceramente non sono riuscito a darmi una risposta che sento veramente mia.
Nel frattempo continuo a fotografare sperando che arrivi l'illuminazione.

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guerié
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Re: Perché scattate se non avete niente da dire?

Messaggio da guerié »

'in fondo si vedon sempre le stesse foto' poi arriva quello che ha studiato una vita per fare fotografie e fa cmq delle cagate in alta risoluzione. sarò pessimista ma io la foto artistica la vedo come una gran cavolata, chiamiamola foto d'arredo o foto da pubblicazione. i progetti fotografici rientrano nella categoria artistiche solo perché non si ha il coraggio di affermare la tipicità dell'espressione fotografica che ha ben poco a che fare con l'arte intesa come pittura disegno incisione scultura, e via dicendo. ha anche poco a che fare con altri tipi di espressive tipo la scrittura o il video. Qui si era detto mi paree che la fotografia aveva caratteristiche uniche quindi perché si continua a nascondersi dietro un dito e si continua a parlare di composizione equilibrio e così via. è una contraddizione non si ha il coraggio di ammettere che certe regole imbrigliano una pratica e che le le foto in realtà non sono mai le stesse.

beh continuare a imbalsamare momenti e incorniciarli e così via è un arte funeraria di tutto rispetto non dico di no, ma il bello di fotografare scattare al di là della condivisione per me è innegabile. poi si può condividere e i commenti e le critiche sono discorsi di circostanza un po' come parlare del tempo è inutile fissarcici(parlo molto per me....) insomma tutto questo per dire che chi critica chi fa foto senza argomenti deve produrre un argomento valido...perché criticare se non si ha nulla di preciso da criticare? si critica un fasciame di cose? una moda un atteggiamento? criticare le foto sui socialnetwork è come criticare i social. se non ti piacciono non li frequenti ! criticare le foto dei tramonti storti e dei gattini pulciosi che senso ha? il fotografo con le palle è attento ad uno stile segue rigorosamente un progetto sfoggia capacità tecniche raffinate e si guadagna da vivere con il suo mestiere. il fotografo fotamatore come tante volte si è detto non sempre vuol o può diventare un fotografo professionista si bea delle sue cagate e basta .
marco guerriero

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