Faccio fatica a comprendere bene, forse dai per sottintesa una cultura o un vocabolario che non ho. È un po' off topic, ma alla realtà oggettiva dai un nome? Oppure non esiste?
E' un concetto semplicissimo, altrimenti non ci arriverei neanch'io.
Tutto ciò che noi osserviamo è filtrato dall'esperienza percettiva.
I nostri sensi interagiscono con il reale ed il nostro cervello interpreta la nostra personale realtà, fatta, appunto, di sensazioni.
La macchina fotografica lavora diversamente: essa stabilisce un rapporto oggettivo con le cose, dal momento che non ha una propria coscienza: ovvero registra meccanicamente la sola luce riflessa dal reale, attraverso l'obiettivo (o il foro stenopeico), su di una superficie fotosensibile.
Semplice.
Ora però ci metto del mio, ergo di quì in avanti sarà tutto un pò più sconclusionato e largamente opinabile.
Questa divergenza sostanziale di funzionamento tra uomo e macchina, fa sì che ogni volta in cui scattiamo oppure osserviamo una fotografia, abbiamo a che fare non con una sola, bensì con una serie di rappresentazioni, le quali, a mio modo di pensare, hanno ciascuna un certo grado di informazione e di purezza.
Il concetto di indicalità, se comparato in parallelo e con la giusta sincronia alle leggi fisiche naturali e alla psicologia, rappresenta, oggi più che mai (alla luce delle moderne scoperte scientifiche), uno spunto interessante anche per muovere un'analisi critica e razionale al relativismo.
Una critica che però deve avere il giusto grado di raffinatezza e di ironia, perché il relativismo è anch'esso relativo: una parola ambigua, piena di significati,
Il relativismo può essere sano, e far sì che tutti fruiscano ed interagiscano con un certo dato al fine di giudicarlo, e la conoscenza ed il potere siano, sebbene mai assoluti, universali.
Il relativismo insano fa sì che in pochi possano fruire di un certo dato perché troppo sofisticato e incomprensibile, affinché quei pochi ne siano da tramite, riempiano il vuoto ancor prima dell'artista, e detengano il potere, facendo dell'arte merce di scambio.
Finché c'è simbiosi e complicità tra l'autore e la critica elitaria questo gioco di potere funziona.
Se l'autore non è più complice e vuole egli stesso riappropriarsi egoisticamente di una certa etica, custodendo la purezza di un momento ed il perché di quel gesto, celandolo sotto mentite spoglie, smentendo ogni speculazione con dati certi, servendosi degli strumenti di cui sopra, a mio modo di vedere ne potrebbe uscire qualcosa di stimolante.
Il momento acquisterebbe un'importanza diversa, il cui valore è dato da qualcosa che va oltre l'approvazione, gli istinti, il denaro.