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Foto presa dal (belissimo capolavoro) Santa Barbara di Diana Markosian.

Piccola premessa sul lavoro dell'autrice (preso pari pari dalsito di MiCamera)
La genesi di “Santa Barbara”, monografia di debutto della fotografa Diana Markosian, si deve alla fuga della madre dell’artista insieme alle sue due figlie; un esodo cominciato dalla Russia, nazione che si trovava ancora a fare i conti con gli effetti della caduta dell’Unione Sovietica, e concluso negli Stati Uniti, più specificamente nella città di Santa Barbara. La città in questione è stata resa famosa in Russia dall’omonima soap opera degli anni ‘80, il primo show televisivo americano ad esser mai stato trasmesso in terra russa. La donna, all’epoca dei fatti trentacinquenne, ispirata dalla soap opera, pubblicò un annuncio tramite un’agenzia russa affinché riuscisse a trovare un uomo che aiutasse lei e le sue figlie a trasferirsi negli Stati Uniti. L’uomo che sarebbe diventato poco tempo dopo il nuovo marito della donna, rivestì anche il ruolo di padre per la fotografa e per sua sorella. Il libro esplora la natura della famiglia come organizzazione e il tradizionale american dream. Le immagini sono intrecciate con una sceneggiatura scritta da Markosian in collaborazione con una delle scrittrici originali di Santa Barbara, Lynda Myles, ed è la base per un nuovo cortometraggio diretto dall’artista. Attraverso una serie di fotografie messe in scena e un video narrativo, l’artista riconsidera la sua storia familiare dal punto di vista della madre, relazionandosi con lei per la prima volta come donna, piuttosto che come figlia, facendo i conti con i profondi sacrifici che ha fatto per inseguire il sogno americano.

In questa foto viene rappresentato il momento in cui lei, la mamma ed il fratellino atterrano in California ed escono dall'aeroporto.

L'immagine è una di quelle che ti catturano e che ti fanno porre degli interrogativi, almeno questa è stata la mia prima reazione. Un immagine surreale e priva di alcun senso logico, eppure attraente, per i colori, pochi e ben selezionati e per la pochezza di segni presenti tre persone di spalle ed un tappeto in mezzo al nulla. Senza leggere alcunchè della presentazione, piacevole ma a mio avviso per buona parte inutile, (bastava l'ultima riga), la prima sensazione che ho avuto è stata quella dello smarrimento di queste tre persone, come se non sapessero che fare e dove andare, il tappeto rosso potrebbe significare un invito a recarsi in quel posto che prometteva una vita più agiata, che poi, almeno fino a quel momento li, non si è rilevata tale; oppure il passato, che fino ad allora era stata agiato, di tappeti rossi appunto, ma che da quel momento in poi si rileverà quantomeno interlocutorio. Un immagine che almeno a me spinge a vedere qualcosa di più di quel lavoro.

la prima sensazione che ho avuto è stata quella dello smarrimento di queste tre persone, come se non sapessero che fare e dove andare

@effegi61
Pure io ho interpretato in modo simile. La terra promessa, desiderata ed immaginata fino a sacrificare la propria vita pur di vedere realizzato un sogno (parole della Markosian) che ti accoglie con il tappeto rosso, come se fossi una star, la prossima persona che realizza il sogno americano. Ma il tappeto ti porta al nulla, dove tutto è possibile ogni sogno è raggiungibile, ma niente ti è dato ed ogni cosa te la devi conquistare da solo. Tutte le possibilità sono aperte, spetta a te quale scegliere e conquistarti il tuo di sogno americano.

Se fai una ricerca per Diana Markosian, Santa Barbare escono diverse foto. Questo è veramente l'unico libro che mi sento di consigliare veramente, un lavoro molto intelligente, nuovo, realizzato egregiamente con diverse tecniche uate che però si amalgamo perfettamente ed apre, secondome, alla fotografia nuovi orizzonti

P.S. tutte le foto sono state ricreate con attori

Grazie del post fotografico, interessantissimo.

Tuttavia vorrei mettere un breve " bravissima, ma non mi piace".

È una questione di gusto. Posso anche provare a guardare dentro di me per capire perché non mi piace. Vediamo se ci riesco... Solo che la facciamo più lunga.

Non sono contrario in linea di principio ai set. Infatti mi piacciono La Chapelle, Newton, Garcin. Non mi piacciono "certi" set, non ho capito bene quali, forse quelli che giocano sull'ambiguità tra reale surreale. Anche al cinema sento questo problema. Siccome tuttavia fare questo tipo di comunicazione artistica è molto difficile, contemporaneamente alla sensazione di incompatibilità di gusti, non posso non stimare chi ci riesce bene.

Ciao!
A.