“Dove si rifugiano gli uomini”
Inviato: 19/09/2018, 22:51
“Dove si rifugiano gli uomini”, o, meglio: i maschi, è la mia grossolana traduzione del titolo di un bel libro illustrato uscito nel 2006, “Where Men Hide”.
È un volume che racconta con parole e foto certi luoghi che gli uomini (scil. i maschi) costruiscono, attrezzano e arredano nel corso della loro esistenza con lo scopo di vivervi e realizzarvi una certa intimità, vuoi attiva o contemplativa, operosa o quieta, appartata o condivisa.
Gli ambienti raccontati e raffigurati appartengono alla cultura popolare statunitense; lo si sa dai nomi delle località nelle quali vengono fotografati gli interni, ma anche dalle cose che li riempiono e dalle attività che li contraddistinguono. Sebbene provengano da oltreoceano, i set e gli oggetti rappresentati non ci sono estranei, sono ormai divenuti familiari anche a noi europei dopo un secolo di descrizioni letterarie ed in seguito ai racconti che ne hanno fatto il piccolo e il grande schermo, al punto che noi stessi italiani siamo divenuti più “americani” di quando avremmo immaginato un secolo fa.
Sono luoghi che appartengono agli ambiti più svariati, la caccia al cervo, la palestra dei pugili, la loggia massonica, la cameretta, il garage, la bottega del barbiere, l’angolo che accoglie la poltrona reclinabile dell’anziano, lo strip club, il locale dove si va a mangiare etc.
Non ne scriverei qui se oggi, riprendendolo in mano, non mi fossi soffermato sulla breve considerazione tecnica che uno dei due autori, il fotografo, ha permesso a questo volume. Ken Ross, infatti, dichiara qui con quali macchine ed ottiche ha lavorato, su che pellicola, quale la carta abbia utilizzato per le stampe etc.
Nel 2006 la fotografia era ormai anche digitale da più di vent’anni, e quando lessi il libro per la prima volta non mi soffermai su questa nota tecnica, forse non capii nemmeno a cosa intendesse riferirsi Ross parlando di “fotografia vecchia maniera”.
Un’ultima cosa mi ha colpito oggi mentre sfogliavo il libro, e cioè la mancanza di un posto che ha moltissimo in comune con tutti questi luoghi nei quali the men hide: la camera oscura.
È un volume che racconta con parole e foto certi luoghi che gli uomini (scil. i maschi) costruiscono, attrezzano e arredano nel corso della loro esistenza con lo scopo di vivervi e realizzarvi una certa intimità, vuoi attiva o contemplativa, operosa o quieta, appartata o condivisa.
Gli ambienti raccontati e raffigurati appartengono alla cultura popolare statunitense; lo si sa dai nomi delle località nelle quali vengono fotografati gli interni, ma anche dalle cose che li riempiono e dalle attività che li contraddistinguono. Sebbene provengano da oltreoceano, i set e gli oggetti rappresentati non ci sono estranei, sono ormai divenuti familiari anche a noi europei dopo un secolo di descrizioni letterarie ed in seguito ai racconti che ne hanno fatto il piccolo e il grande schermo, al punto che noi stessi italiani siamo divenuti più “americani” di quando avremmo immaginato un secolo fa.
Sono luoghi che appartengono agli ambiti più svariati, la caccia al cervo, la palestra dei pugili, la loggia massonica, la cameretta, il garage, la bottega del barbiere, l’angolo che accoglie la poltrona reclinabile dell’anziano, lo strip club, il locale dove si va a mangiare etc.
Non ne scriverei qui se oggi, riprendendolo in mano, non mi fossi soffermato sulla breve considerazione tecnica che uno dei due autori, il fotografo, ha permesso a questo volume. Ken Ross, infatti, dichiara qui con quali macchine ed ottiche ha lavorato, su che pellicola, quale la carta abbia utilizzato per le stampe etc.
Nel 2006 la fotografia era ormai anche digitale da più di vent’anni, e quando lessi il libro per la prima volta non mi soffermai su questa nota tecnica, forse non capii nemmeno a cosa intendesse riferirsi Ross parlando di “fotografia vecchia maniera”.
Un’ultima cosa mi ha colpito oggi mentre sfogliavo il libro, e cioè la mancanza di un posto che ha moltissimo in comune con tutti questi luoghi nei quali the men hide: la camera oscura.